Di seguito vengono riportate due opinioni a confronto, contrapposte tra loro sulla questione relativa alla sentenza di condanna in primo grado per Mimmo Lucano.

Le tesi a favore della condanna sono state spiegate dal procuratore di Locri e dal PM che ha rappresentato la pubblica accusa.

Così Luigi D’Alessio, procuratore di Locri, iscritto a Magistratura Democratica, sull'ex sindaco di Riace in una intervista a La Stampa: “Sono vittima di un’aggressione mediatica. Amareggiato ma sereno con la coscienza. Non ho agito con intento persecutorio... è stato un processo basato su carte e fatture false difficilmente controvertibili, non su testimoni più o meno credibili... 13 anni sono parecchi e mi auguro che in appello sia ridotta”. 

“Lucano, un bandito idealista da western”. “Chiunque può commettere qualsiasi reato purché a fin di bene?” si domanda il magistrato. A Mimmo Lucano riconosce “una mirabile idea di accoglienza”, ma gli contesta di averla “riservata a pochi eletti che avevano occupato le case”. In altre parole, a dispetto della norma che prevedeva un avvicendamento periodico dei migranti, “lui manteneva sempre gli stessi, sottomessi. Gli altri li mandava nell’inferno delle baraccopoli di Rosarno”. Benché incassasse i fondi destinati ai corsi obbligatori di italiano, “non c’era un migrante che lo parlava”. E al di là dei murales e di qualche casa diroccata, “gli alloggi destinati ai migranti venivano abitati dai cantanti invitati per i festival”. E ancora: “Tutto era organizzato per favorire varie cooperative locali, creare clientele, accumulare ricchezze, beneficiare di indotti elettorali”. Di qui la dura condanna per associazione a delinquere, oltre che di Lucano, di altre dieci persone. “Nessuno ne parla, ma si trattava di una corte celeste di accoliti che campava così e di cui lo stesso Lucano era per certi versi anche vittima”. Perché se è vero che Lucano non si è arricchito, tuttavia “c’erano abbondanti somme distratte. Soprattutto ai migranti, che erano vittime dei reati di Lucano e non certo beneficiari. Questo è il grande equivoco da cui la sinistra non riesce a liberarsi”. Ma chi è Mimmo Lucano, secondo il magistrato? A D’Alessio ricorda il protagonista di un celebre western di Sergio Leone, “il bandito di Giù la testa proclamato capo dei rivoluzionari suo malgrado. Idealista, improvvisamente issato su un piedistallo, ubriacato da un ruolo più grande di lui, inconsapevole della gravità dei suoi comportamenti, forse guidato da altre persone. Ha pensato di abbinare un’idea nobile a una sorta di promozione personale e sociale. Non è Messina Denaro, ma ha inteso male il suo ruolo di sindaco, proclamando “io me ne infischio delle leggi” e ostentando una scarsa sensibilità istituzionale tradotta in una serie impressionante di reati. Riace è un Comune dissestato”. 

Questa è l’intervista a Repubblica del pm Michele Permunian, che per Mimmo Lucano aveva chiesto una condanna a 7 anni. “A Lucano sono contestati 22 reati”.

“I reati ci sono e sono gravi”. “Comprendo il peso di una pena del genere: quando ho chiesto 7 anni e 11 mesi, sapevo che c’era il rischio di una condanna più alta. A Lucano sono stati contestati più di 22 reati. Il problema non sono i finti matrimoni. Qui ci sono varie forme di peculato, truffa aggravata a danno dell’Unione europea. E poi è stata riconosciuta l’associazione a delinquere con altre 4 persone. È un processo molto tecnico ma l’opinione pubblica non vuole capire. Quei 13 anni vengono percepiti come assurdi e sproporzionati ma non c’è volontà di conoscere le carte”. “Avevo fatto anche una “requisitoria-b”, in cui arrivavo a un conteggio finale di 15 anni, ma preferivo fosse il tribunale a pronunciarsi. Prudenzialmente mi sono tenuto basso. La pena ora sembra molto alta ma se si leggono il capo d’imputazione e i reati contestati, si scopre che non lo è perché se l’impianto accusatorio fosse caduto, la pena sarebbe stata al massimo di 4 o 5 anni. Ma nel caso di Lucano le accuse più gravi hanno retto. Si sono create quindi le condizioni per applicare il profilo della continuazione, l’articolo 81 del codice penale”. Quanto alla responsabilità dell’epilogo, il magistrato dichiara: “All’inizio lo sentivo molto e anche ora non nascondo che mi dispiace. Ma il mio lavoro è anche questo. Devo essere autonomo e indipendente. Fortunatamente ci sono più gradi di giudizio. Se ho sbagliato, emergerà”.


La tesi a favore di Lucano, nel senso di una condanna ingiusta, in questo caso è espressa da Luigi Ferrajoli - filosofo del diritto, professore emerito all’Università di Roma 3 ed ex magistrato - in una intervista rilasciata all'Huffpost.

“Tutto il mondo giuridico si aspettava una condanna mite, o addirittura l’assoluzione. Questo dispositivo è incredibile. Ma da un punto di vista tecnico non deve stupire che sia potuto arrivare. ...Questa sentenza è vergognosa, direi scandalosa. Non si spiega in alcun modo se non con la volontà di attaccare questa forma di integrazione sociale dei migranti, il modello Riace, appunto. Io trovo che da questo dispositivo, espressione di una forma di settarismo giudiziario, possa derivare anche un danno al senso morale del Paese...A questa affermazione, però, il giudice potrebbe tranquillamente rispondere che ha solo applicato la legge.Non è questo il caso, non c’era solo un modo per interpretare ed applicare le norme. Chiunque abbia una qualche minima esperienza di processi sa benissimo che i giudici dispongono di un’enorme discrezionalità giudiziaria, sia nell’interpretazione della legge che nella valutazione dei fatti e delle prove; e che dunque era ben possibile una pronuncia diversa, quanto meno nella determinazione della pena: quasi il doppio della pena già incredibilmente alta chiesta dal pubblico ministero. Si poteva, tanto per cominciare, concedere come circostanza attenuante l’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale, del resto Lucano ha solo aiutato della povera gente. Invece la scelta è stata un’altra. Ma allora come è stata possibile una condanna tanto dura?Non dobbiamo essere sorpresi per il fatto che tecnicamente, da un punto di vista burocratico, sia possibile. La legislazione italiana è così confusa, contraddittoria, pletorica, che è facile far ricadere su un cittadino un’accusa molto pesante. Nel caso specifico non è stato fatto valere il vincolo della continuazione tra reati e ciò ha comportato il fatto che le pene per ciascun illecito siano state sommate. Ma al di là degli aspetti tecnici, la cosa più grave è che questo tipo di decisioni rischiano di produrre un consenso di massa nei confronti della disumanità quando, invece, uno dei principi fondanti di una democrazia è il rispetto reciproco, la solidarietà. La portata sociale di questa decisione è enorme. Dobbiamo però ricordare che delle irregolarità nella gestione nel modello Riace - celebrato in tutto il mondo - ci sono state. Le ha ammesse lo stesso Lucano.Certo, è immaginabile che la mancanza di cultura giuridica lo abbia portato a commettere degli illeciti. Però, vede, la decisione di un giudice deve basarsi anche sulla comprensione del fatto, deve tenere conto del suo contesto. Sotto questo aspetto, la sentenza di ieri è decisamente iniqua, oltre che un segno dei tempi orrendi che stiamo vivendo. Mi lasci dire che i giudici hanno espresso la personale volontà di penalizzare quel modello d’accoglienza.Luigi Manconi oggi su La Stampa sostiene che la giustizia con questo verdetto si è mostrata scollata dalla realtà. Condivide?Ovvio. E aggiungo una cosa: qui ci stiamo giocando l’identità democratica del nostro Paese. Anzi, di tutta l’Unione europea. Da un lato riempiamo le Carte di principi sulla dignità della persona, dall’altro facciamo morire la gente in mare e, con una sentenza del genere, è come se volessimo dire che è sbagliato accogliere i migranti e integrarli. Ecco perché io spero che questa decisione, che sta già producendo indignazione e sconcerto, sia modificata in appello.