La Commissione Ue, martedì, ha avviato una nuova procedura d'infrazione nei confronti dell'Ungheria di Orban per aver approvato leggi in violazione dei diritti alla base dell'Unione europea. Procedura che per quel Paese congela i fondi del Pnrr, non una buona notizia per il premier ungherese che però tenta di guadagnar punti provando ad inventarsi il ruolo di mediatore nel conflitto ucraino.

Orban, in una conferenza stampa che si è tenuta mercoledì, ha detto di aver invitato Putin in Ungheria per parlare faccia a faccia con i presidenti ucraino e francese, nonché con il cancelliere della Germania, suggerendogli un immediato cessate il fuoco. Il premier ungherese ha detto anche che la risposta di Putin è stata "positiva", ma che il leader russo ha precisato che l'incontro potrebbe svolgersi a seguito di determinate condizioni, senza però precisarle.

Nella stessa occasione, il presidente russo Vladimir Putin ha respinto le accuse di crimini di guerra commessi dai russi a Bucha, parlando di "provocazioni rozze e ciniche" da parte dell'Ucraina.

Il ruolo di mediatore nel conflitto russo-ucraino viene svolto da coloro che si guardano bene dall'applicare sanzioni a Mosca e dall'inviare armi a Kiev, e allo stesso tempo cercano di trarre vantaggio dalle difficoltà economiche della Russia per ottenere materie prime a basso costo, cercando di compiacere Putin assegnando al Cremlino una credibilità ormai impossibile da recuperare.

Così, sempre mercoledì, Orban ha dichiarato che non solo l'Ungheria continuerà ad acquistare gas della Russia anche se l'Europa dovesse deciderne l'embargo, ma che lo pagherà in rubli se Mosca dovesse chiederglielo. 

Le attuali posizioni di Orban stanno ulteriormente allontanando l'Ungheria non solo dall'Europa, ma anche dalla Polonia e dalla Repubblica Ceca, Paesi con cui c'era, prima dell'invasione russa dell'Ucraina, una identità d'intenti e di vedute in ottica anti-Bruxelles.

Sempre in chiave diplomatica, il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, oggi ha espresso tutta la sua frustrazione per l'allontanamento di funzionari russi (in realtà spie) dalle ambasciate di mezza Europa, non escludendo, a seguito di ciò, la possibilità di interrompere le relazioni diplomatiche con i Paesi occidentali se la "pratica" dovesse continuare.

Secondo RIA Novosti, in poco più di un mese sono state circa 300 i diplomatici che finora sono stati costretti a fare le valige e tornare a Mosca.