La loggia P2 fu sciolta nel 1981 dal Parlamento italiano, il 23 novembre 1995 la Corte di cassazione concluse che la loggia P2 in buona sostanza non era altro che un comitato d’affari: tanto rumore per nulla.

Al di là della sentenza che sconfessava le conclusioni della Commissione Parlamentare d’inchiesta che era stata istituita per valutare modalità e finalità di un fenomeno che sfuggiva a tutte le regole comprese quelle della massoneria rimane la sua tragica eredità i cui effetti si manifestano nel nostro quotidiano.

Il processo di destabilizzazione dello Stato italiano è continuato indisturbatamente con l’aggravante che questo cancro che ha divorato il nostro paese dall’interno ha prodotto una nuova forma di corruzione che ha contaminato l’uomo della strada spingendolo ad adottare sistematicamente comportamenti illeciti per ottenere quanto non gli spetta di diritto a danno di coloro il cui diritto è calpestato: concorsi truccati; abusi edilizi; carriere pilotate; appalti truccati; arricchimenti illeciti; evasione fiscale; truffe allo Stato; gare di appalto per opere inutili, mai realizzate o realizzate malissimo; comportamenti illeciti dei pubblici ufficiali che rimangono impuniti nella quasi totalità dei pochi casi che cittadini onesti hanno il coraggio di denunciare.

La classe dirigente in carica è il risultato di un tradimento consumato sfrontatamente nei confronti di una collettività compiacente. Per decenni sono stati offesi, scoraggiati e distrutti potenziali talenti soffocati dalla mediocrità. E’ raro che si parli della continua emigrazione delle nostre forze migliori nei paesi occidentali che li accolgono e danno loro reali opportunità di realizzazione: in questo paese non si riesce ad avere punti di riferimento certi perché tutto è condizionato da un insano compromesso. 

 Prendiamo l’amministrazione della giustizia, quando si tratta di un cittadino comune la mannaia della legge colpisce duramente, alcuni esempi: un’anziana sottrae un po’ di frutta in un supermercato per fame, il direttore chiama i carabinieri e questa viene portata in caserma con tutte le logiche conseguenze; un anziano di 80 anni sottrae 2 Kg. di salsicce e se le infila nei pantaloni ovviamente viene denunciato e rinviato a giudizio, alla fine dell’iter giudiziario viene condannato ad un risarcimento pari a € 11.000,00 per aver commesso un furto con l’aggravante della destrezza (aveva avuto la destrezza di infilarsi le salsicce nei pantaloni); una donna viene barbaramente assassinata dall’uomo con il quale aveva una relazione e a quest’ultimo viene ridotta la pena da 30 a 16 anni perché aveva commesso un omicidio aggravato da motivi abietti e futili, ma con l’attenuante di essere stato vittima di una tempesta emotiva. L’elenco di tali “contraddizioni” giudiziarie sarebbe interminabile.

Quando si tratta di personaggi in vista come medio/alti funzionari pubblici o privati, pubblici ufficiali (vigili urbani, carabinieri, poliziotti, impiegati presso uffici pubblici “delicati”), politici, magistrati, liberi professionisti (avvocati, commercialisti, imprenditori, notai, medici) accusati di reati molto gravi allora bisogna trattare l’argomento con molta delicatezza, i PM iscrivono, soprattutto i pubblici ufficiali, nel registro degli ignoti per poi buttare tutto nel “cesso” dell’archiviazione legittimando e istigando la reiterazione dei reati ed ignorando quasi sempre  i reati perseguibili d'ufficio che dovrebbero essere inquisiti obbligatoriamente. 

Se è previsto dalla Costituzione attendere il terzo grado di giudizio per essere considerati colpevoli, è assurdo attendere decenni per arrivare ad una sentenza definitiva che talvolta stravolge tutto per un errore di notifica o altri aspetti formali e non sostanziali, per giunta quando viene confermata con una sentenza di colpevolezza di terso grado (di solito con una condanna molto attenuata dalla iniziale) l’imputato, se politico, truffatore, ladro, evasore, ecc. ecc. per anni andrà recitando la parte del perseguitato continuando a delinquere dimostrando che il crimine lega più dell’onesta: una luminosa figura di martire è Berlusconi.

Ci passa una bella differenza tra “rubare” per fame frutta e salsicce e i fiumi di miliardi di euro che per decenni sono finiti nelle tasche di indegni rappresentanti dello Stato e dei loro complici procurando una povertà diffusa che spinge a rubare per disperazione: quando si sottraggono ricchezze pubbliche il danno ricade sull’intera collettività e non colpiscono le classi più abbienti ma gli ultimi, coloro che non hanno voce né diritti: questa è la forma di violenza peggiore che si possa praticare su di un essere umano ed è moralmente imperdonabile.

Lo scandalo che ha investito il CSM ha messo in luce una delle tante aberrazioni che si sono prodotte in questo paese. Ascoltando la conferenza di un procuratore sotto scorta da circa trent’anni, parlando di sé, diceva che per i suoi interventi e il suo lavoro nelle varie commissioni aveva posto la condizione di non ricevere alcun compenso in quanto lo Stato lo pagava con uno stipendio che gli garantiva un dignitoso tenore di vita a lui e alla sua famiglia.

Ma la cosa che mi ha più colpito è stato quando ha parlato dell’indipendenza che la Costituzione riconosce al giudice che lo libera da qualsivoglia compromesso e non comprendeva quei colleghi che andavano cercando di consociarsi a gruppi all’interno della categoria, per lui era stato duro avanzare ma aveva la grande soddisfazione di autodeterminarsi nel suo lavoro.

In questi giorni nei “quartieri alti” della magistratura emergono situazioni pericolosamente dequalificanti per la categoria determinate da “lotte di potere”: tutto ha avuto inizio con l’iscrizione nel registro degli indagati del PM Fava per rivelazione di segreti d’ufficio e favoreggiamento per aver comunicato al suo collega e amico Luca Palamara particolari sulle indagini in corso a suo carico per corruzione violando i doveri inerenti alla sua funzione e abusando della sua qualità essendo stato titolare del procedimento penale n. 44630/16.

La Procura di Perugia motivava il provvedimento scrivendo: “Comunicando con Palamara e rispondendo alle sue plurime ed incalzanti sollecitazioni, gli rivelava come gli inquirenti fossero giunti a lui, specificandogli che gli accertamenti erano partiti “dalle carte di credito” di Centofanti Fabrizio e si erano estesi alle verifiche e ai pernottamenti negli alberghi, rivelandogli altresì alcuni retroscena delle indagini”.

Gli stessi PM di Perugia indagano Fava inoltre perché: “consegnando a Palamara atti e documenti allo stato ancora non identificati e alcuni atti già allegati all’esposto e inoltrati al CSM, asseritamente comprovanti comportamenti non consoni del Procuratore capo e di un procuratore aggiunto anche in relazione del fascicolo n. 44630/16 – dal quale erano scaturite le indagini a carico di Palamara – in relazione a profili di mancata astensione dei predetti procuratori – circostanze allo stato smentite dalla documentazione acquisita presso la Procura di Roma – aiutava Palamara a eludere le investigazioni a suo carico”.  

Il “favore” che ha fatto a Palamara il PM Fava accade purtroppo nelle procure di tutta Italia solo che non se ne sa nulla, per non parlare del personale amministrativo e giudiziario: scompaiono documenti dai fascicoli o vengono sostituiti verbali, vengono comunicati i contenuti delle denunce e delle indagini violando il segreto d’ufficio, depistaggi e manipolazioni della verità, omissioni in atti d’ufficio e favoreggiamenti sono abbastanza frequenti.

Ai PM vengono riconosciuti poteri enormi ma talvolta li usano male. Per svolgere una funzione così delicata occorre avere una ottima ossatura morale, un forte senso dello Stato e della democrazia, la coscienza che si viene pagati profumatamente per svolgere un lavoro delicato che richiede attenzione, serietà, rispetto per la dignità del cittadino e non un puro esercizio di potere: sanno benissimo le conseguenze che si riflettono sulle vite di chi chiede giustizia e gli viene negata; sanno bene che con i loro compromessi possono distruggere vite. 

Il 4 giugno il PM Fava è stato interrogato dai suoi colleghi della Procura di Perugia ma nulla è trapelato, questa volta il segreto d’ufficio ha funzionato. La vicenda comunque ha messo in luce una serie di aspetti comportamentali molto discutibili.

Al di là dei riflessi penali o meno, alcuni magistrati dimostrano che nulla hanno compreso della serietà e delle grandi responsabilità inerenti il loro mandato; che sono purtroppo sensibili a sollecitazioni esterne lo sanno tutti, personalmente ne ho fatto le spese quando mi sono occupata dell’impugnativa di  una delibera per bloccare la costruzione di un inceneritore a Bracciano presso la discarica di Cupinoro: sono stata letteralmente annientata proprio dalle istituzione che avrebbero dovuto proteggermi.

Purtroppo ci sono troppo opportunisti che rivestono cariche istituzionali e che le usano a loro comodo scoraggiando o annientando le persone oneste che hanno il coraggio di lottare per la vita, la verità e la giustizia senza godere delle sicurezze, dei mezzi e del potere di cui invece questi squallidi individui dispongono. Di Pietro, ex magistrato, ha dato il buon consiglio ai suoi ex colleghi quello di “darsi una bella ripulita”.

Questo paese non ha anticorpi per difendersi, il modello comportamentale P2 è diventato uno stile di vita proprio tra coloro che sono ai vertici delle istituzioni ed impongono le loro inique condizioni con arroganza e insopportabile sfacciataggine perché in Italia “LA LEGGE NON E’ UGUALE PER TUTTI”.