La Dott.ssa Silvia Parisi illustra quelli che sono i fattori genetici nella schizofrenia.

Diverse linee di studio indicano che la schizofrenia sia un disturbo genetico. La diffusione mondiale e l'impressionante similitudine dei sintomi e del decorso della malattia sembrano decretare l'assenza di correlazioni culturali.

I primi studi gemellari, condotti da Kallaman stabiliscono che la percentuale di concordanza per la schizofrenia tra i monozigoti e del 50%, percentuale che si abbassa al 5%, 15% se si prende in considerazione di dizigoti e fratelli.

L'importante, poi, è l'analisi condotta da Goottesman. Il ricercatore, valutando circa 40 studi condotti in Europa tra il 1920 nel 1987, calcola differente gradiente di rischio per la schizofrenia a seconda del grado di consanguineità con la persona malata.

Questi i risultati conseguiti: il rischio di ammalarsi schizofrenia e del 2% per i cugini, del 17% per i figli e per i gemelli dizigoti (dz), sino ad un massimo del 48% per i gemelli omozigoti (mz).

Altri studi effettuati su bambini nati da genitori schizofrenici e successivamente adottati da genitori sani con fervore il coinvolgimento dei fattori genetici dell'insorgenza della malattia, sebbene non sia possibile trascurare l'influenza di altri fattori, tra cui quelli ambientali. Numerose sono le ricerche inerenti l'incidenza del anomalie cromosomiche sulla schizofrenia, per cui si citano le inversioni e le cancellazioni. A Baron va attribuito il merito della scoperta di alcuni siti fragili, ed in particolare di possibili geni di linkage presente nei soggetti affetti dal disturbo, pur senza evidente alterazione cromosomiche.

Al contrario, gli studi condotti dal gruppo di Porteus a Edimburgo evidenziano diversi geni nella stessa regione del cromosoma1.

Attualmente, grazie all'utilizzo di nuove tecniche di genetica molecolare (studi genetici o di linkage), si studiano specifiche regioni del genoma umano e si individuano diversi geni su vari cromosomi coinvolti nella schizofrenia (tra cui il cromosoma n.1).


Con il contributo della Dott.ssa Silvia Parisi