Thomas Sankara era un ragazzo impegnato, ma sorridente. Chitarrista per hobby, amante delle manifestazioni artistiche e sportive, da una sua idea nacque il più grande festival del cinema africano, che si tiene ogni anno in Burkina ed ha risonanza internazionale.
Dopo i primi anni di duro lavoro, cominciava a pensare alle libere elezioni e all’organizzazione di uno stato democratico con pluralità di partiti; il tutto richiedeva prudenza e pazienza, doti rare tra i suoi avversari ( e non solo tra loro). Rilasciò la sua ultima intervista al “Manifesto”, poco prima di morire. Conobbe Marco Pannella. In occidente, l'etichetta di marxista estremo o radicale ostinato lo emarginò ulteriormente.
Nell’ottobre 1987 Thomas, vestito con una tuta rattoppata durante la giornata dello sport, fu ucciso in un agguato a colpi d’arma da fuoco. Le sue ultime parole furono per la sua risicata scorta: scappate, è me che vogliono. Fu sepolto in tutta fretta e, sembra, a pezzi.
Gli succedette Blaise Compaoré, suo fidato collaboratore. Costui non smentì di aver avuto un ruolo nell’attentato al suo amico fraterno, sostenendo però che era quasi colpa di Thomas, che aveva reagito agli spari….
Blaise è stato al potere fino al 2014, poi ha trovato riparo in Costa d'Avorio, storicamente nemica del Burkina. Dopo anni in cui appariva compiaciuto in televisione, con la first lady intenta a promuovere programmi a favore delle donne, a un certo punto la pressione popolare (manovrata?) lo ha costretto alle dimissioni, , ma finora non si vedono risultati apprezzabili. Ci vuole pazienza. Qualcuno perfino lo rimpiange, sostenendo che teneva lontano il terrorismo. Il mondo africano può vivere ancora di questi ricatti?
L’Africa, questa sconosciuta. Terra di conquiste. Terra di deserti e di foreste, dove vivere è difficile, se non per quegli occidentali in cerca di tranquillità e di un posto dove ricrearsi un eden perduto. Che rapporto c’è tra l’Africa delle galere schiaviste, americane o arabe, e quella di Karen Blixen e Kuki Gallmann? (*1)
E’ possibile una conciliazione, dove l’africano esca dall’immagine di “bisognoso” ed entri in quella di cittadino del mondo? Una persona che vive liberamente e ospiti l’altro, il diverso, senza diventarne un dipendente, magari amato, magari di lusso, ma sempre subordinato?
I governi coloniali furono il male assoluto? Di fatto essi formarono, in alcuni casi, classi dirigenti africane volenterose e bene intenzionate, che talvolta hanno ben operato, seppure rappresentate da personaggi sottoposti al sospetto di tradimento culturale.
Spesso costoro, nelle neonate e malferme democrazie africane, non avevano tempo per formulare e attuare serie riforme, occupati a conciliare la convivenza tra etnie diverse, tra modernità e tradizione, o a reperire nuove risorse per la sopravvivenza,visto che gli antichi padroni gestivano ancora le materie prime.
Per giunta, i nuovi leaders dovevano destreggiarsi tra gli appetiti e le rivalità dei protagonisti della guerra fredda: da quale parte? USA o URSS? Erano del tutto impreparati a un lavoro che avrebbe impensierito un navigato statista. Vittime di tali baraonde ideologico/politiche furono, ad esempio, Mobutu del Congo e Nkrumah della Costa d'Avorio. Quest'ultima, relativamente ricca rispetto ad altri stati del continente, è da sempre accusata di piaggeria filofrancese e scarso senso di fratellanza africanista. Rimbalzano da tempo allusioni a un ruolo dei suoi servizi segreti nell'omicidio di Sankara.
L’Africa ha espresso figure di potere talmente oscure e discusse, da non lasciare spazio alla speranza. Nella mente dei più gira l’immagine del dittatorello messo in sella dalla potenza di turno, dall’ex padrone rimasto a comandare di fatto, dopo l’indipendenza, oppure dalle multinazionali.
Dopo un periodo di fascinazione dell’occidente verso l’Africa, favorito dai simpatizzanti delle culture “diverse” e dal fascino del folklore africano, cosa resta? Filmati e racconti che vorremmo dimenticare:Taylor, Johnson e Doe in Liberia, l’ultimo deposto e ucciso dopo orribili torture; Idi Amin Dada in Uganda, morto anziano e indisturbato in Arabia Saudita, dopo un mezzo genocidio della sua stessa gente; Il feroce Siad Barre in Somalia; Tutsi e Hutu in Rwanda; frange filoruandesi che seminano il terrore in Congo; Mandela in carcere per ventisette anni; Il crudele e avido Bokassa nella Repubblica Centrafricana; i ribelli a oltranza, fino al guerra di tutti contro tutti.
L’Africa parla con la sua gente, priva com’è della mediazione dell’arte ricca, e le questioni si toccano subito. E’ lacrime o gioia, sangue o musica, potenza reale e mistica del potere.
Sankara aveva modelli precisi di riferimento per orientare il suo agire; i modelli da seguire, come quelli da evitare. Alle conventions panafricane, osò sfidare il presidente francese Mitterrand con pesante sarcasmo, ricevendone in cambio una distaccata, parigina condiscendenza, che sottintendeva il presagio di una triste fine.
Violenze e regimi sanguinari non sono appannaggio dell’Africa, ma questo a Sankara non interessava. Egli sognava un continente diverso, che avesse fatto tesoro delle esperienze per affrancarsi dalla schiavitù dell’anima, oltre che di quella materiale, cronica e sempre più drammatica.
Era un sognatore, un illuso, un rivoluzionario senza futuro? Nemmeno la sua figura ispira unanimi consensi.
L'Africa oggi riceve la Cina. L'occidente ha fallito. Il mare ci porta senza posa immigrati allo sbando.
Le idee non si possono uccidere. (*2), ma è certo che vengono picchiate ogni giorno. E quando perdi sangue, lottare è più difficile.
(*1) Karen Blixen, danese, autrice di "La mia Africa"; Kuki Gallmann, italiana, autrice di "Sognavo l'Africa".
(*2) "L'Africa di Thomas Sankara: le idee non si possono uccidere" , titolo della biografia di Sankara, scritta da Carlo Batà.