È incredibile, ma alle prossime elezioni politiche tenta di presentarsi anche la sinistra con un partito che dovrebbe esser partorito da un matrimonio che non è neppure cominciato tra i fuorisciti dal PD riunitisi nel movimento Articolo 1 MDP, (probabilmente) Sinistra italiana e il Campo progressista di Pisapia.

D'alra parte, trattandosi della nascita di un partito di sinistra, la divisione non può non essere il denominatore su cui gettare le fondamenta di una casa comune...

Così, da un lato abbiamo Massimo D'Alema che dichiara, alla festa nazionale di Sinistra italiana a Reggio Emilia, che "entro novembre dobbiamo stabilire nome e simbolo della nuova forza di sinistra", immaginando un'assemblea programmatica costuituita da delegati che diano vita alla struttura del nuovo partito.

Inutile ricordare quanto D'Alema non "apprezzi" Renzi, così come quasi tutti i parlamentari di MDP. Teoricamnete, in un qualsasi altro contesto politico normale, dove i partiti non sono appiattiti sulle "strategie" di un singolo, non sarebbe un problema, ma nel caso del PD invece il problema esiste, perché il PD, nonstante i proclami, è oggi il partito personale di Matteo Renzi che, di giorno in giorno, lo plasma in base alle sue (nel senso di Renzi) esigenze politiche.

E così, mentre una parte di sinistra sembra voler escludere una qualsiasi possibile intesa con il PD renziano, l'altra parte con cui dovrebbe dar vita al nuovo partito, invece non vuole arrendersi all'idea che esista la possibiità di un accordo politico sui contenuti di un programma.

Ed è in questi termini che Giuliano Pisapia, coordinatore del Campo Progressista, immagina il rapporto con il Partito Democratico: «Ho parlato di competizione e di sfida al PD. Competizione e sfida nel percorso, non nell’obiettivo che non può essere che quello di contrastare le destre ed evitare di consegnare il Paese al populismo. Una competizione che può dilatare il consenso delle forze progressiste, perché non sono pochi gli elettori di quel campo che, a torto o a ragione, non votano Pd, non votano le liste di sinistra o non votano affatto. Ma per raggiungere tale obiettivo è indispensabile che il PD riprenda a guardare a sinistra e non a cercare innaturali alleanze con la destra o il centrodestra. L’unità va fatta tra gli elettori e non solo tra gli stati maggiori dei partiti. Per quel che mi riguarda, questo è l’obiettivo di ieri, di oggi e di sempre.»

In fondo, Pisapia crede sia possibile dialogare con il PD, sulla base della sua esperienza passata da sindaco di Milano e per tale motivo afferma che «la sinistra minoritaria sceglie di adagiarsi sulla sconfitta, mentre l’attuale PD sembra accettare di perdersi. Quando si insiste su una legge elettorale sbagliata che consegnerà l’Italia all’ingovernabilità o ad alleanze non votate, e non volute dagli elettori, si privilegiano solo gli interessi di parte.»

Un'analisi non illogica e pertanto corretta, ma che si basa sull'illusione che il PD renziano, che ha fatto di tutto e di più per scacciare i dissidenti dal partito, possa in qualche modo essere interessato a formare un'alleanza a sinistra, per di più nell'interesse del Paese e forse anche - addirittura - senza un Renzi che si presenti candidato premier alle prossime elezioni: «La politica non può essere solo ferocia e carriera, deve tornare ad essere un luogo di confronto e di sevizio. C’è bisogno di discontinuità, anche generazionale, di politica come servizio e non come professione.»

Così, sui niet di MDP, sulle speranze di Pisapia e sul chissenefrega di Renzi, a cui le sorti della sinistra interessano meno di zero, la sinistra italiana continua ad interrogarsi su come unire nel migliore dei modi le proprie divisioni.