Non è che a tutti piaccia il calcio; e nemmeno il tifo. Diciamolo subito, perché coloro a cui frega poco o nulla dello sport nazionale conducono una discreta vitaccia. Lavorano indefessamente di telecomando per saltabeccare (onde evitarle)  tra partite di campionato, europee, tornei sempre nuovi, commentari/bestiari dove si finge di avere il sangue alla testa e la vena grossa (parliamo di pseudo giornalisti settantenni o giù di lì, ex calciatori, gente di spettacolo riciclata in programmi a metà tra il reality e un "Tutto il calcio minuto per minuto" in salsa televisiva). 

Se riesci a scamparla, vuol dire che sei un single o hai una famiglia compatta sulle tue posizioni; diversamente ripieghi sulla seconda televisione, mestamente. E il piacere di vedere qualcosa insieme va a varsi friggere.

Sì, perché il tifoso, checché si senta dire, non è come il cinefilo o l'amante della musica; questi si dedicano ogni tanto alla loro passione, magari con le cuffie o recandosi al cinema, ma mica scassano tanto i maroni, poi. Non fermano le città, non vanno in giro con magliette tipo " Brad Pitt tua madre batte", non assistono inermi allo spettacolo dei cori razzisti. E se un attore canna un'interpretazione, o un cantante un disco, non esitano a stroncarlo e magari per un po' lo evitano. Perfino in politica si ha il coraggio di voltare pagina, a volte.

Il tifoso, no. Armato di striscioni e trombette, paonazzo, esce nel primo pomeriggio carico a molla, torna la sera sgolato, e qualunque cosa faccia la sua squadra, tutto gli andrà bene, perché quella è "fede".

Noi miscredenti, attestati su posizioni meno fideistiche e più meritocratiche (siamo i Brunetta del calcio, vi piace questa?), abbiamo ormai le tasche piene da tempo di questa dittatura del pensiero sportivo, messa in atto in nome della solita "maggioranza" ( ci ricorda altri discorsi) che schiaccia i diritti delle minoranze e brutalizza i palinsesti.

Ogni tanto emerge un altro calcio scandalo, prontamente insabbiato. La parola "combine", graziosa, elegante, è conosciuta da sempre, sostituita nel tempo con le nostrane meno raffinate "pastetta" o  "torta", roba più mangereccia, che trasmette l'idea di un festoso banchetto: per chi ci mangia, senz'altro.

Giusto per accennare alle vicende più clamorose, si ricorda un mega inciucio decenni fa, che aveva tra i protagonisti molti giocatori della Lazio; seguì un'inchiesta dove sarebbe oscuramente entrato anche il mitico Paolo Rossi; nel 2006 l'Italia andò ai mondiali (che vinse) accompagnata dalle calciopolate di Moggi, mentre i rumors sulle scommesse sfiorarono anche Lippi Jr e Buffon; il tutto è intervallato dalle solite cicliche indagini sul doping, cui segue magari qualche squalifica di singoli calciatori, benché nel tempo alcuni coraggiosi abbiano tentato di farci sapere di più.

Né a livello internazionale tiriamo un sospiro di sollievo, pensando a figure come Blatter,  o all'arbitro Moreno che ci cacciò dai mondiali 2002, e fu poi arrestato con l'accusa di narcotraffico.

Il football (o soccer, come viene chiamato negli USA, dove lo seguono soprattutto i latinos) ci disgusta come disciplina? 

Tutt'altro! Ci piace e molto. Abbiamo ancora nelle orecchie la dizione soave, e il tono incisivo, di Nicolò Carosio, quando i nostri papà , la domenica, ci portavano in gita con la radiolina accesa, mentre narrava le gesta eroiche di Burgnich e Facchetti  (noi non ce lo ricordavamo, ma Nicolò c'era già ai tempi di Meazza e Piola);  e poi il roco Sandro Ciotti o l'impeccabile Nando Martellini, a raccontarci le azioni sul campo di altre star che ci sfilavano davanti, carismatiche come divi di Hollywwod: dal golden Boy Gianni Rivera al bellissimo (oddio quanto!) Gigi Riva.

Abbiamo sofferto per la nostra nazionale: per Italia Germania 4 - 3, e la  successiva sconfitta,  forse già scritta ma immeritata, con il Brasile, nel 1970; abbiamo esultato con Sandro Pertini dopo il trionfo al Bernabeu del 1982; di nuovo gioito per i cucchiai di Pupone e le serpentine dell'indio Camoranesi, che ci condussero al titolo nel 2006 (a proposito, che dire dei nuovi italiani del calcio, divenuti tali per strani giri di nonni improbabili e cittadinanze lampo?); e quasi pianto dal disgusto per le successive miserevoli prestazioni. 

Avevamo anche la squadra del cuore, così, senza patemi: un amore può finire, per noi non tifosi, non ultras, non appiattiti su questo business ormai incontrollabile.

Non stupitevi, non sconcertatevi più che tanto, se ascoltate di camorre che influenzano le partite all'equatore o le scommesse a Singapore, cari italiani! Come dite? Non ve ne frega niente, basta che  vi arrivi la dose settimanale di partite, the show must go on? Lo immaginavamo. E sennò, mica eravamo ridotti così...