I primi dubbi erano sorti già alla nascita del governo gialloverde.

Con il passare delle settimane purtroppo i dubbi si sono trasformati in certezza.

Non passa giorno, infatti, che questo esecutivo, che ha nelle sue mani le sorti del Paese e di tutti noi, offra l’immagine di una   baraonda in cui non esista chiarezza di deleghe ministeriali, di chi abbia la responsabilità di dire e di fare, né di chi sia competente per indicare linee politiche ed economiche del governo.

Il capriccio sfrenato dei due vicepremier di apparire e blaterare su tutto, sempre ed ovunque, genera una babilonia istituzionale sconcertante.

Eppure lo stesso presidente Mattarella, persona saggia ed esperta, avrebbe dovuto prevedere abusi, soperchieria e tanta confusione, nel conferire la delega di vicepremier a due personaggi analfabeti di Costituzione e di regole istituzionali, assetati solo di potere e smaniosi di fare le prime donne in gara tra loro.

Lo si è visto fin dai primi giorni.

Al ministro dell’Interno, ad esempio, non compete il potere di chiudere i porti, né quello di impartire ordini alla Guardia Costiera, eppure Matteo Salvini, pur di apparire alla ciurma plaudente come il castigamatti dei migranti, se ne è infischiato ed ha prevaricato i suoi colleghi di governo competenti in materia.

Non solo, ma comunicando le sue decisioni via tweet e facebook,  canali informali e privi di carattere ufficiale, ha creato incertezze e perplessità.

Ma lo stesso ministro dell’Interno, che come titolare del Viminale fino ad oggi non ha ancora partorito alcun provvedimento per contrastare la criminalità, si è invece profuso nell'impicciarsi di vaccini, di ricostruzione del viadotto Morandi, di relazioni internazionali, di giustizia, etc., giungendo perfino al deprecabile braccio di ferro con la UE su aspetti economici e finanziari, tutte materie non di sua competenza.

Naturalmente, per non essere da meno, l’altro vicepremier ha seguito passo passo il debordare di Salvini, spesso appiattendosi sui suoi eccessi, per interferire in campi che nulla hanno a che vedere con il ministero del lavoro e dello sviluppo di cui, invece, è titolare.

In queste ultime ore, ad esempio, Di Maio è arrivato nientepopodimeno che ad azzardare la partecipazione azionaria dello Stato nella società che dovrebbe rilanciare Alitalia, provocando la giusta e stizzita reazione del ministro dell’economia e delle finanze, Giovanni Tria, che  preso alla sprovvista dall’onanismo mentale del vicepremier, ha puntualizzato come ogni valutazione e scelta di partecipazione azionaria sia di esclusiva pertinenza del suo dicastero.

Stiamo assistendo, cioè, ad una babilonia governativa che può avere tre chiavi di lettura concorrenti.

Da un lato, l’evidente asservimento ai due veri padroni del vapore, forti del voto del 4 marzo, da parte del premier Giuseppe Conte, un non politico scelto proprio per non disturbare i manovratori.

Dall’altro, la modesta e fragile personalità di molti ministri, voluti dai due capibastone, che essendo catapultati da un giorno all’altro su inaspettate poltrone da sogno, e non volendo essere risvegliati bruscamente, preferiscono godersi questi momenti facendo finta di nulla e non reagendo.

Infine, il persistere di una permanente campagna elettorale che Salvini e Di Maio mantengono in vita, strumentalmente, per non far sopire le rispettive ciurme in vista delle elezioni europee 2019.  

È palese che questo stato di babilonia governativa non solo dia fiato ai rappresentanti degli ormai agonizzanti Partito Democratico e Forza Italia, ma faccia correre il rischio a noi tutti che, procedendo con questo ambiguo doppio comando, si vada irrimediabilmente a sbattere.