Col termine “umanità” non ci si riferisce solo alla specie ma all’insieme delle condizioni e caratteristiche tipiche del genere umano. Elementi comportamentali e distintivi codificati nel DNA, a cui spesso ci riferiamo come “qualità innate”. Ed essendo tali non possono essere soppresse.

Tutto ciò che è innato è anche istintivo e opera più o meno come nel resto del mondo animale, appartiene a quello che Freud definisce Super-Io, e quindi si mette in pratica senza pensarci. Se tuttavia si ha la possibilità di contestualizzare questo istinto a una precisa realtà, allora lo si può controllare misurandone l’opportunità. L’uomo, con il suo stato di coscienza elevato, è capace di farlo.

Facciamo un esempio.

In questi giorni abbiamo appreso la bella notizia di un uomo, Mattia Aguzzi, che ha salvato una bimba di 4 anni prendendola al volo mentre precipitava dal quinto piano di un palazzo. In questo caso ha prevalso l’istinto di Mattia, il quale non ha contestualizzato la sua azione alla realtà opportunistica di non esporsi a tale pericolo solo per salvare una bambina sconosciuta, rischiando egli stesso la vita. Non occorre una laurea in fisica per intuire la pericolosità dell’impatto che avrebbe provocato la bambina su di sé.

Però l’istinto ha prevalso ugualmente sull’intuizione.

Attimi in cui avrà osservato quei circa 12mt di altezza e intuito il resto, che a freddo possiamo provare anche a calcolare per bene. Da quell’altezza un qualunque corpo in caduta libera giunge alla velocità di circa 15m/s (55 km/h), e sapendo che tale corpo ha massa di circa 18kg (il peso medio di una bambina di quell’età) l’impatto secco su un suolo anelastico, quindi a decelerazione convenzionale di 0,1s (durata dell’impatto), avverrebbe con una forza pari a 2700 newton, che tradotto in massa sarebbero 270kg. Esito fatale praticamente certo. Ovviamente l’impatto non è stato così secco, considerata l’elasticità del corpo umano, e nel nostro caso del corpo di entrambi, oltre alla capacità di Mattia (istintiva o meno) di attutire ulteriormente l’impatto calibrando la resistenza e lasciandosi cadere/rotolare a sua volta. Diciamo che si potrebbe arrivare a una decelerazione di 0,25s, e il peso distribuito tra i due diverrebbe di circa 100 kg. Ancora troppo. Ma se la superficie d’impatto tra i due corpi è stata abbastanza ampia tale forza/massa è potuta “sgusciare” scorrendo e distribuendosi ulteriormente durante l’impatto stesso, fino a rimanere in gran parte assorbita da tutte queste dinamiche favorite da manovre più o meno consapevoli. Sono micro istanti, capacità istintiva, visione della traiettoria, e magari tanta fortuna. Grazie al cielo ci sono state, sapendo che né Mattia né la bimba hanno riportato traumi.

Sicuramente non serviva, ma numeri e ricostruzione dello scenario mostrano ancor meglio quanto fosse evidente e reale il rischio corso da Mattia, tale da poter essere pacificamente captato senza prendere nessuna calcolatrice. Ma lui ha deciso ugualmente di correrlo; dall’intervista non appare un avventato temerario che agisce in maniera sconsiderata.

Quest’esempio non dovrebbe lasciare spazio a dubbi circa la natura innata e profondamente radicata dell’altruismo. Tuttavia, se tra l’intuire il pericolo e il decidere ugualmente di agire ci fosse stato più tempo per valutare, financo a poter fare quella dettagliata analisi vista sopra, cosa sarebbe successo?

Un dramma irreparabile, per la bambina. Perché sarebbe intervenuto il senno dell’opportunità, e in questo caso dell’autoconservazione. Più trascorre il tempo per dare spazio a emozioni, percezioni di sé, dell’ambiente, di esistere e volerlo in accordo con i codici dei nostri tempi, minore sarà la probabilità di rischiare la perdita di una qualunque di queste cose. E sebbene appaia come una riflessione scontata, non lo è affatto! Perchè se lo fosse, allora occorre porsi una domanda: cosa ce ne facciamo di questa pericolosa qualità innata?

Perché la natura ci avrebbe dotato di questo altruismo (cfr. Jean Decety et al.) che, avendo quel tempo per ragionare, non perseguiremmo mai? Tra l’altro si tratterebbe di una qualità che si spiega in maniera talmente criptica da non poterla annoverare tra quelle componenti palesemente utili per l’evoluzione della specie, tantomeno pensare di perderla a causa di queste mutazioni. Un perseverante errore genetico…?

Osservate il mondo animale. Più si scende nella scala delle specie ritenute intelligenti, più si osserva un comportamento semplicemente opportunistico (egoista per definizione): il branco, che si aiuta a vicenda per rimanere in vita e in salute; l'istinto di maternità nel prendersi cura dei piccoli, assicurando la prosecuzione della specie. Similmente agli insetti sociali, ma null’altro. Anzi l’abbandono dei soggetti malati, feriti o comunque incapaci di tenere il ritmo del branco, è frequente: crudele e spietato. Ma risalendo quella scala incontriamo specie come i delfini, i cani, i primati, in cui spesso sono osservati comportamenti altruistici simili a quelli dell’uomo.

Però nel regno animale non c’è spazio per entrambi: o si è scarsamente intelligenti, e quindi vi è maggior propensione all’opportunismo; o si è più evoluti, e si avrà costanza di gesti altruistici e disinteressati, senza turbamenti dovuti a questioni opportunistiche, se non quelle dell’altro istinto - altrettanto forte - di autoconservazione.

Solo l’uomo è capace di questo “dualismo perfetto”.

L’uomo non usa schemi opportunistici quando non ne ha il tempo materiale. Inoltre non li usa in situazioni di pericolo generale, prestando assistenza con una sorta di “compassione ragionata” solo per identificare i soggetti più deboli, da aiutare per primi. Ma cambia improvvisamente registro, facendo prevalere una serie di fattori opportunistici quando si tratta di offrire una solidarietà codificata come non urgente dalla società in cui esso vive: per esempio le carenze culturali dei propri simili, la mancanza di cure mediche, lo sfruttamento minorile e umano in generale, l’infelicità esistenziale e lavorativa, il welfare sociale inefficiente, la povertà. Tutte questioni che determinano lesione della dignità e dunque gravi violazioni dei diritti umani.

Chi avrebbe codificato come “non urgenti” tali altri pericoli, per poi trascriverli ovunque in pompa magna come violazioni dei diritti umani? Si bisticcia parecchio nei meandri della mente umana!

Ma oltre alla domanda retorica e paradossale dobbiamo considerare che l’opportunità di non intervenire e non solidarizzare con fatti (e non solo parole) non è ostacolata nemmeno dall’autoconservazione. Non si tratta infatti di pericolosi interventi “salva vita”. Vi sarebbero, invece, solo ostacoli di natura sociale, opportunità di mantenere uno status che potrebbe essere minato in qualunque modo, anche in minima parte e in maniera infinitamente meno pericolosa, dall’azione in favore di chi versa in cattive condizioni. Coscienti, ma al contempo avulsi, del fatto che tali cattive condizioni potrebbero anche generare esiti drammatici e fatali, nei propri simili e non solo.

Il tempo del ragionamento complesso che cementifica la propria posizione opportunistica, è ulteriore ragione per autoconvincersi negando il proprio contributo in questo altro versante “salva vita”.

Questo dualismo, che avrei oziosamente definito “perfetto”, è in verità un dualismo dissonante, perché oltre al paradosso della domanda posta poco sopra produce l’ulteriore paradosso che avrete certamente notato qualche rigo prima. Emerge nel paragone con il restante regno animale e nell’incapacità che tale dualismo possa verificarsi in tale dominio. Peraltro - avrete notato anche questo - la componente altruistica è presente via via che una specie animale si presenti anche intellettualmente più evoluta.

Non rimane molto altro da dire. L’incompatibilità tra altruismo e opportunità, e quindi di ogni sfumatura di egoismo, pare piuttosto evidente. E mentre la prima è una dotazione della natura che parrebbe parte inscindibile del nostro patrimonio genetico, l’opportunismo sarebbe un mero contenitore di memi e regole sociali. Se diamo ragione all’opportunismo semplicemente contraddiciamo la nostra natura. Ma forse la natura vuole dirci che l’unico opportunismo da valutare è quello di averci fornito l’opportunità di essere altruisti. Chi può saperlo…

L’immagine perfetta per concludere sarebbe l’esilarante espressione di quel famoso tiktoker alle prese con le sue semplificazioni estreme. Perché l’argomento è serio, ma quando lo si rende artificialmente complesso viene anche un po’ da ridere.


Base foto: Mystic Art Design (sfondo) e Gordon Johnson (human dna) da Pixabay