Nell'Italia del renzismo aumetano povertà e disuguaglianze
È stata pubblicata l'indagine realizzata da Tecnè per conto della Fondazione Di Vittorio e della Cgil sui temi della fiducia economica, delle disuguaglianze e della vulnerabilità sociale relativa al secondo trimestre del 2017.
Dal quadro che ne emerge, il 32% degli italiani giudica peggiorata la propria situazione economica ed il 24% si sente più vulnerabile rispetto ad un anno fa. A questo va aggiunto che la forbice economica nel paese si allarga e anche avere un lavoro non protegge più dal rischio povertà.
Insomma, una situazione per nulla esaltante. Il rapporto considera il miglioramento di alcuni parametri macro economici, ma nonostante questo il 62% degli intervistati dichiara che la situazione economica personale non è cambiata rispetto a un anno fa. Il 32%, invece, dichiara un peggioramento, mentre solo il 6% giudica migliorate le proprie condizioni.
Ma anche il clima di fiducia non è certo dei migliori per i prossimi mesi. Il 20% degli intervistati, infatti, teme un ulteriore peggioramento delle proprie condizioni economiche nel prossimo futuro, il 70% pensa che non cambierà nulla e solo il 10% si attende un miglioramento.
La crisi economica, oltre ad aver accresciuto il numero delle famiglie povere, ha prodotto un crescente sentimento di vulnerabilità: solo il 4% si sente economicamente e socialmente più sicuro rispetto a un anno fa, mentre il 24% si sente più vulnerabile e fragile e il rimanente 72% si sente come prima.
Questa la dichiarazione rilasciata da Susanna Camusso a commento dello studio realizzato da Tecnè: «L’indagine della Fondazione Di Vittorio e Tecnè conferma sul tema delle diseguaglianze, della vulnerabilità sociale e della fiducia economica, il clima che costantemente ci viene rappresentato nei luoghi di lavoro.
Gli effetti di una crisi lunghissima e ancora non conclusa, hanno fatto sedimentare nelle persone e nei lavoratori, un senso di incertezza e di sfiducia. Per ribaltare questo stato di cose, non serve né l’ottimismo di maniera né interventi spot, ma un’azione coordinata e stabile che punti a rafforzare lo sviluppo e a dare certezze per il futuro.
Anzitutto investimenti produttivi, a partire da investimenti pubblici anche come forma di traino verso quelli privati, da non computare nel fiscal compact. Questo è il vero contenzioso economico da aprire in Europa e che vedrebbe concordi molti altri paesi europei. Un lavoro stabile e di qualità che guardi alle trasformazioni tecnologiche e future. E’ troppo grande l’area di chi non lavora in Italia e di chi ha un lavoro precario.
Per questo, collegato agli investimenti, serve un piano per il lavoro e un corredo di diritti come quello previsto nel Piano e nella Carta della CGIL. Servono, nella prossima legge di bilancio, interventi straordinari, per la formazione, cambiare la Legge Fornero, garantire a tutti l’accesso ad un welfare di qualità inteso come motore di sviluppo.
E serve un’azione seria contro le diseguaglianze a partire da una riforma fiscale che, abbandonando le tentazioni classiste di chi parla di flat-tax, ridia senso e sostanza alla progressività fiscale. Solo un progetto coordinato e condiviso, che affronti l’insieme di questi argomenti, è in grado di cambiare le cose e di invertire questo diffuso senso di sfiducia.»