Ardea, Torino, Moriago. Tre drammatici casi di cronaca al centro di una riflessione della dottoressa Maria Rosaria Palmigiano.

In un paese normale, accade.

Ardea, vicino Roma. Due fratellini e un coraggioso pensionato cadono sotto i proiettili esplosi da un giovane noto ai più per qualche intemperanza ma ritenuto innocuo.

A Torino, l’espressione serena di un ragazzo scatena un agguato omicida.

Nella tranquilla provincia trevigiana, a Moriago, una bella ragazza ammazzata mentre prende il sole sul greto del Piave perché il suo folle assassino doveva fare del male a qualcuno. Sì, in un paese normale, accade. Le vittime: Daniel e Davide Fusinato e Salvatore Ranieri ad Ardea; Stefano Leo, 29 anni a Torino; Elisa Campeol, 35 anni a Moriago.

Due degli assassini assicurati alla giustizia. Il pluriomicida di Ardea si è tolto la vita, sparandosi. Il disagio psichico talvolta si scatena improvviso e incontrollabile. Nella mente del carnefice le vittime non hanno nome e volto. Sono figure anonime, capaci di interpretare a prima vista le loro inquietudini. Bersagli da colpire. Senza pietà. Affidiamo l’approfondimento alla dottoressa Maria Rosaria Palmigiano, psicologa e psicoterapeuta, specializzata in criminologia.


Dottoressa Palmigiano, quando si scatena questa violenza è come volere fermare un proiettile. Impossibile.

Sì, impossibile, ecco perché occorre la massima attenzione nella gestione di pazienti con problematiche di pertinenza psichiatrica. In tutti e tre i casi sopraccitati siamo di fronte ad assassini che hanno agito in preda ad uno scompenso clinico psicopatologico che, attenzione, non equivale ad un’incapacità di intendere o di volere. Gli scompensi psicopatologici si attuano quando a soggetti bisognosi di cure arrivati in consulenza, vengono sottovalutati i sintomi, come avvenuto nel caso di Roma, dove un soggetto sottoposto a visita psichiatrica per aver minacciato la madre con un coltello, e, in preda ad un’agitazione psicomotoria, verrà da lì a poco dimesso, dimenticando che l’agitazione psicomotoria è un sintomo e non una diagnosi, pertanto può derivare da quadri diversi ed evolvere in una molteplicità di stati, anche pericolosi.O come accaduto a Torino dove un uomo con un importante discontrollo degli impulsi, da due anni già diventato violento non solo con l’ex datrice di lavoro, ma anche con la compagna, e già condannato per maltrattamenti e lesioni ai danni dell'ex compagna, sarebbe rimasto in libertà per un errore di procedura e un giorno, acquista un coltello e ammazza un ragazzo solo perché era “felice.”O come accaduto A Treviso, in cui un ragazzo con diagnosi di schizofrenia, soggetto a delle fatali ricadute se interrompe la terapia, inizia a non presentarsi ai servizi territoriali e rimane senza copertura farmacologica, indispensabile per una patologia cronica come questa in cui non vi è né critica né coscienza di malattia.

Dottoressa, esistono episodi meno drammatici nei quali si è riusciti a fermare o prevenire potenziali aggressori?

Certamente. Tutte le volte in cui il sistema funziona.Tanti episodi sarebbero evitabili, se vi fosse più attenzione da parte dai curanti per la gestione dei soggetti psicotici, delle istituzioni per evitare errori procedurali e procedere come nel caso di Torino, alla custodia in carcere e da parte di chi si occupa del monitoraggio della custodia delle armi, perché ricordiamo che ad Ardea l'assassino del pensionato e dei due bambini, deteneva un’arma in modo improprio.