Metropoli, città, paesi, campagne, talvolta montagne, colline, mare, molti sono i set del crimine, alcuni particolarmente inquietanti: come una caverna, o il fiume e le sue rive che disegnano scenari bacchelliani.
Ai tempi del delitto del DAMS (giugno 1983, Francesca Alinovi, di cui abbiamo trattato), si parlò di un mostro di Bologna, per alcuni misteriosi omicidi, tra cui quello cosiddetto “della Croara”; quest’ultima è un complesso carsico di grotte nei pressi di San Lazzaro di Savena. Leonarda Polvani è una disegnatrice di gioielli che staziona, per piazzare i suoi lavori, presso un’oreficeria vicina all’abitazione della professoressa Alinovi, nonché ella stessa studentessa nella facoltà musica e spettacolo. Ventottenne, il 29 novembre di quell’anno scompare quando già stava entrando nel garage di casa sua, a Casalecchio di Reno, dove l’attendeva il marito. Qualche giorno dopo viene casualmente ritrovato il suo cadavere, da alcuni operai (o guardiacaccia) nella cava, zona in genere disertata da chi conduce la vita della giovane donna: è teatro di scambi malavitosi, spaccio, riti balordi. Lei è morta per un colpo d’arma da fuoco, ma la scena è dispersiva e ambigua, con suoi oggetti sparsi quasi ad arte (anche perché, dopo uno sparo, l’assassino che vuole solo liberarsi della vittima, non ha particolare interesse a installare teatrini). Il coniuge, professore di una certa levatura, dichiarerà che, sceso per verificare dove fosse la moglie, aveva notato la sua auto ferma e col cofano ancora tiepido. Non si viene a capo della faccenda, nemmeno a seguito delle solite rivelazioni di qualche ignoto pentito, insaccate in allusioni a carabinieri infedeli, che alluderà al furto delle chiavi della gioielleria con cui Leonarda collaborava, per un eventuale furto: ipotesi a dir poco fantasiosa, e tutto si arenò, per sempre, circa nel 2002.
Agata Bornino è una giovane aspirante pornostar piemontese con ambizioni frustrate, dopo aver lavoricchiato nei night del centro Italia, da cui si era trascinata una specie di fidanzato romano; prostituta occasionale, trasferitasi nella Gardesana, divide la casa con la sua migliore amica, una trans che avrà parole severe per la condotta di vita della coinquilina, ritenuta sfilacciata, senza causa e rischiosa. Agata, o quel che ne resta, emerge vicino a una spiaggetta del fiume Chiese un giorno di maggio del 1996, all’inizio addirittura scambiata per una donna di colore, per via dei capelli intrecciati a dreads. Di lei non si è mai saputo di più: a parte l’amica citata, non si è espresso un parente, né sono stati riferiti sviluppi delle indagini: una vita a perdere, che non sembra aver interessato nessuno, probabilmente archiviata come suicidio.
Luigi Bezzi è un pensionato settantenne scapolo, con la passione della pesca, di Sant’Alberto, nel ravennate, soprannominato “Ragù”, dalle relazioni tenute gelosamente nascoste anche alla famiglia d’origine, dove appare e scompare qualche fidanzata mai resa ufficiale. E’ la zona delle future gesta di Igor il russo, ma non ancora il tempo, e negli anni si conteranno molti omicidi, in genere attribuiti a esiti di guerre per prostituzione, regolamenti di conti tra immigrati e rapine. Il corpo senza vita di Luigi viene ritrovato sull’argine del Reno il 27 agosto 1998, colpito da tre proiettili di pistola, di mattina presto, dopo che colleghi di hobby lo avevano visto transitare in macchina e salutato al volo. Un motivo per tanta crudeltà, con il rischio di farsi scoprire in piena luce, senza motivo apparente, ci dovrà pur essere stato ma, a parte qualche testimonianza che racconta di un auto sospetta circolante nei paraggi, altro non si saprà mai.
Si arriva al 2012 per stabilire, seppur con approssimazione, che quello rinvenuto casualmente su un’ isolotto nel Po’ a Spessa (Pavia) sarebbe di una mamma scomparsa quarantunenne nel 2009, Simona Bellagente; mentre ancora si cerca, in contesto fluviale, il corpo di Simona Lucini, impiegata pavese trentaseienne sparita nel 1998 (mai ritrovata, peraltro), dopo una cena con amici e il compagno.
Una storia che ha particolarmente toccato il cuore è quella di Luciana Fantato. Scomparsa dalla sua casa /cascina a Gambolò, nella Lomellina, ritrovata a giugno 2019 nel torrente Terdoppio. È stato fin troppo narrato il calvario dell’operosa casalinga, alle prese con uno svanito coniuge afflitto da accumulo compulsivo ( quel Pierino così simpatico a Federica Sciarelli), la figlia immersa in oscure relazioni sentimentali (che incrociano un omicidio), genitrice di un nipotino amato ma non sufficiente a riscaldare la vita di Luciana, la suocera inerme, mentre il figlio maschio, affezionato ma impotente dinanzi al disastro, aveva scelto di andare a vivere altrove.
La storia va sotto il nome di suicidio, ma l’istigazione non è stata mai adombrata, eppure… in una location da incubo, in lotta come un tragico ( ma non comico) personaggio almodovariano con una famiglia misfit, dove il denaro scarseggiava e veniva forse richiesto proprio alla Fantato, non sembra almeno una spinta nelle acque, averla ridotta a tal miserabile guisa, alla nera disperazione?