La Professione per paura di un Noi
Sempre più è possibile notare nella società un rubare dallo stile di vita americano derivato quasi completamente dalla cinematografia che ha abituato il pubblico da circa 60 anni ad aspirare al mondo del “successo”, al vincere in carriera od in una relazione romanzata con grandi ed estremizzati festeggiamenti piccoli eventi (forse perché si considera la relazione cosi debole che si vuol vivere al massimo tutto quel ne viene prima che finisca). Stile che pone obiettivi e target come unica sorgente da cui risucchiare ma anche confondere gioia per felicità, arrivo per costanza, il singolo obiettivo prende il posto di una visione contestuale (quando invece felicità riguarda sostanzialmente la facilità con cui ci si guadagnano le gioie, affrontando con le dovute fatiche gli ostacoli. Praticamente l'insieme delle gioie raggiungibili con le proprie abilità da usare per affrontare paure ed ostacoli, imparando a vincere il male che tende invece a bloccare la persona).
Pare che questa smania di successo oggi derivi per la gran parte anche dalla scarsa capacità di essere più umani, da intendere, come capaci di gestire l’equilibrio emotivo, essere più critici nei confronti delle persone cui si pone fiducia senza mettere alla prova (un "vediamo se ci meritiamo"), mettersi un po' più alla prova gli uni con gli altri e coinvolgersi in quelle difficoltà che creano legame nel tempo.
Questo è fra le cose apprese, una delle più gravi lacune che sta mancando nell’educazione privata e nell'istruzione pubblica, il tutto con un riflesso puntato sul piano sociale ad espansione generazionale
La rincorsa al successo si rivela anche come un modo per cercar certezze, una zona di comfort nella quale riversare tutto della propria vita senza soffrirne poi molto, poiché lavorare è un obbligo e frequentemente un piacere, la relazione sociale viene percepita inversamente più come un piacere, tant’è che la superficialità generale con cui si costruiscono mediamente le relazioni fa apparire questa anticamera della realtà come una barriera emotiva, a difesa dal pericolo di qualche sofferenza; potrebbe manifestarsi qualcosa di difficile da riconoscere con anticipazione che potrebbe minacciosamente celarsi dietro l’angolo di qualche relazione più sentita, un conoscente, un amico, un partner che potrebbe rivelare comportamenti diversi da quelli che apportano piacere, colleghi che velano strategie a proprio vantaggio, ecc.
Molto è accaduto nel passato di tutti per quanto riguarda le occasioni di maturare un po' più la propria capacità di determinazione oggettiva della realtà, sbagliando, con le dovute brutte figure, con imbarazzo, a volte anche con una torsione delle budella per la concretezza con cui qualcuno che precedentemente etichettato come neutrale o buono si è trasformato originando interiormente un alto rilascio di sofferenza in brevissimo tempo.
Ecco che quindi la realtà si divide con un "e questa nuova interpretazione?", non si era pronti per quest'altra faccia; quel genitore tendenzialmente gentile, disponibile che forniva sensazioni positive ha per qualche istante cambiato volto, il viso ha assunto connotati mai visti mai associatigli in precedenza, la voce è diventata è diventata potente ed acuta, un tono che mette in allerta, in tensione; chi riceve la cosa si stente assolutamente in difficoltà e completamente insicuro, l’addome si contrae mettendo in difficoltà la respirazione, le spalle si schiacciano, la lingua e la gola si contraggono a far male, si cerca di farsi piccoli per sparire e sottrarsi a quel momento, ma non si può e questo aumenta ancor di più l'angoscia, ecco una nuova visione della realtà, dura, secca, netta, inaspettata, complessa. Ora due strade sono possibili, o ritento per riuscire o non ritento più, entrambe le vie hanno come unico scopo il non rivivere una tale situazione di sofferenza oppure di vivere un piacere.
Ecco la prima volta che la propria capacità di determinare la realtà è stata messa realmente alla prova, ma quella volta è successo tutto in modo deteriorante, ferendo drasticamente e profondamente qualche parte dell'io, un taglio, una bruciante apertura nelle carni, come quelle lacerazioni pulsanti anche a riposo, che anche solo ponendoci attenzione è possibile sentir un ventre con un cuore che pulsa che rischia d’uscire.
E da qui la differenza della vita relazionale con il mondo del lavoro, che ricambia i propri doveri con diritti e congratulazioni di chi nota il "fare", e questo è eternamente rassicurante, fa aumentare la fiducia ed è cosi più possibile credere nelle proprie capacità e spingersi a svilupparsi all’interno di una categoria professionale, migliorando performance e talvolta creatività.
Se nelle relazioni si investisse tanto valore quanto ne viene concesso oggi alla professione, non ci si perderebbe in gradienti di bellezza quasi esclusivamente fisici dettati prevalentemente dalla società e dalla ingenua ipersensibilità al giudizio, ed il ribilanciamento favorirebbe la fiducia in sé stessi, lavorando maggiormente sui personali criteri determinanti la definizione qualitativa della realtà al fine di vivere una vita più immersiva nella propria relazione con il mondo, migliorando le difese, non per essere meno feriti dal mondo ma per interpretare meglio cosa può davvero ferire, quanto e quando; diminuendo le probabilità di un blocco di fronte ad un ostacolo od anche solo al pensiero di una qualche difficoltà. Gestendo (e non per forza da soli) meglio i propri stati d’animo con il fine di provare nuovamente a sbagliare il più velocemente possibile per imparare il prima possibile a vincere le difficoltà, interiorizzando nuovi concetti e punti vista per arricchire la propria intuitività.