Antonio De’ Curtis nacque a Napoli il 15 febbraio 1898, nel depresso rione Sanità, che oggi viene descritto similmente ad allora, come se più di un secolo fosse trascorso invano. Era figlio naturale di una popolana e di un nobile che, in seguito, regolarizzarono la loro posizione con il matrimonio; tuttavia Antonio dovette patire la condizione di “illegittimo”, peraltro non così rara, lì e allora.

Si rifiutò di andare oltre la licenza elementare, intenzionato a fare l’attore. Al tempo, nel mezzogiorno, quelli erano già studi soddisfacenti: l’analfabetismo era frequente.

Infanzia e  adolescenza trascorsero tra i vicoli e le prime esibizioni teatrali, con macchiette di gran successo. Ci fu poi il servizio militare in tempo di guerra. Antonio fu destinato a servizi in patria e in caserma, ma sottoposto a umiliazioni e deriso dai superiori: il fisico mingherlino non lo aiutava.

La famiglia si trasferì a Roma, dove ebbe inizio la trionfale carriera del giovane, facilitata altresì da un’imperfezione alla mascella e dalla snodabilità delle sue giunture.

Non era precisamente bello, ma aveva ascendente sulle donne, per la carismatica personalità e la bravura professionale. Come spesso accade, ignorò l’amore appassionato di una donna per inseguire le sue ambizioni, in quel caso una tournée. Lei, Liliana Castagnola, si suicidò, alla fine degli anni ’20. Era una soubrette dalla vita avventurosa, ma aveva un cuore. Antonio se ne accorse tardi e la fece tumulare nella tomba di famiglia, dando il suo nome all’unica figlia che avrà.

Successe anche che venne adottato da un altro nobile e fu così che si procurò una sfilza di nomi, cognomi, titoli e virtuali successioni a possedimenti inesistenti; troppo facile sarebbe l’ironia. I giornalisti non mancarono di stuzzicarlo sull’argomento, ricavandone risposte secche e indispettite. Qualche perplessità sorge davanti a tanta ostinazione a distinguersi, da parte dello stesso uomo che ha scritto “ ’A livella”, poesia che celebra l’assoluta uguaglianza degli esseri umani davanti alla morte e deride la presunzione della nobiltà…

Ci fu l’unione con Diana Rogliani; nacque la figlia Liliana e a ruota seguì il matrimonio. Dopo qualche anno Totò volle l’annullamento, con procedura ungherese. Era un trucchetto riservato a coloro che desideravano tornare liberi e potevano permetterselo, nell’Italia senza divorzio.

In realtà Antonio rimase ancora per anni con Diana. Pare che l’annullamento fosse un puntiglio, per via di un contorto ragionamento dell’attore. Voleva restare con la propria donna per amore e non perché costrettovi da un vincolo. L’aveva sposata solo per rispetto e non lasciarla nella condizione di ragazza madre.

 

Dopo una gavetta fatta anche di esibizioni in Africa coloniale e in Spagna, con compagnie sempre più prestigiose, la carriera decollò, prima in teatro, poi al cinema, dove Totò rimase per molti anni consecutivi in testa agli incassi. I critici storcevano il naso, il pubblico accorreva nei cinema. Nondimeno, qualche riconoscimento  nel tempo arrivò.

Antonio ebbe anche problemi con i tedeschi. Non era certamente un progressista o un rivoluzionario, ma teneva alla propria libertà di espressione e gli piaceva sfottere i potenti ( e i prepotenti). Le sue pantomime, tese a ingannare il prossimo, hanno un valore unico e inimitabile: molto garbo, nessun rimorso. In più, la classe da gentiluomo napoletano di vecchio stampo gli conferiva un fascino particolare.

Gli facevano da  spalla consumati professionisti come Mario Castellani, anche regista e autore, o divi pari suo come Gino Cervi e Aldo Fabrizi. Partner femminili erano alcuni volti celebri dell’epoca. Molto apprezzate da Totò, si vedevano spesso nei suoi film Isa Barzizza, Tamara Lees, Yvonne Sanson e, in seguito, la nuova compagna, Franca Faldini.

Quest’ultima, molto più giovane di lui, era una bellezza bruna con gli occhi verdi. Somigliava a quella Silvana Pampanini che sostiene di aver respinto la corte serrata dell’attore.

Franca gli fu vicina fino alla morte, dopo un finto matrimonio celebrato in Svizzera per tacitare le chiacchiere ( ma ne avevano così bisogno?). Ebbero anche un bambino, scomparso poco dopo la nascita.

L’ex moglie e la figlia di Totò hanno sempre sostenuto che egli fosse ossessivamente geloso e possessivo: niente costume al mare, anzi niente spiaggia se c’erano uomini in giro, libertà di movimento estremamente limitate. La Faldini non ha confermato questa tesi, ma è noto che i due schieramenti si ignoravano. E’ probabile che Antonio, da giovane, fosse un po’ sultano e abbia addolcito la sua intransigenza con gli anni, anche se le sue preferenze andavano senza dubbio a una figura di donna riservata e ritrosa.

Tuttavia sapeva mostrarsi moderno: quando il parlamentare e futuro presidente Oscar Luigi Scalfaro rimproverò (e forse schiaffeggiò) una donna troppo scollata, Totò lo sfidò a duello (virtuale): a meno che non fossero le proprie, le donne altrui gli piacevano alquanto svestite e in un film ne bacia addirittura una sul seno.

 

Sulle sue abitudini poco si sa . Amava i cani e si occupava di beneficenza; era molto elegante; adorava i nipoti che la figlia gli aveva regalato e li viziava. Non guidava la macchina, preferendo disporre di un fidato autista.

 

Sulla qualità dei lavori di Totò si è discusso per anni: il più grande comico italiano secondo alcuni, un guitto di lusso secondo altri. Anna Magnani non lo apprezzava più che tanto come partner, ritenendosi superiore. Tirava un’aria di sottile disprezzo.

In realtà la comicità di Totò fu “sfruttata” senza risparmio, dal dopoguerra ai primi anni ’60, non sempre felicemente. Seguirono periodi bui, durante i quali il “genio della risata” fu lasciato solo in film minori, alle prese con dialoghi scadenti e senza comprimari di valore. Ormai quasi cieco, girò qualche film  di produzione spagnola, poco conosciuto. Si buttò perfino in un “musicarello” con Rita Pavone, dove ballò lo "shake" (*1) sulle musiche di un gruppo inglese dell'epoca, i Rokes. Girò episodi per la televisione, gustosi, anche se avvitati sulle sue gags storiche fino allo sfinimento. Si prestava a ospitate negli show dell'epoca. Infine arrivò Pasolini. Per “Uccellacci Uccellini” (1966) Totò fu pluripremiato e la morte dovette coglierlo almeno appagato professionalmente, l’anno successivo, riappacificandolo con quella critica severa che lo aveva sempre attaccato. Va detto che la svolta pasoliniana non piace a tutti: a taluni appare tardiva e radical chic.

 

E’ impensabile che non ci si fosse accorti della  versatilità della  sua cifra recitativa, sia drammatica che grottesca. Aveva lasciato trasparire il suo talento, in versione non solo squisitamente comica, in film quali “Dov’è la libertà”, di Rossellini, “Lo smemorato di Collegno”, “Siamo uomini o caporali?”, per citarne solo qualcuno. Si preferì assecondare la sua vena buffonesca, circostanza che conveniva a lui stesso, ormai ultracinquantenne quando arrivò il grande successo.

Contemporaneamente egli si dedicava all’attività di compositore e poeta. E’ famosa la sua “Malafemmena”, di cui alcune bellone famose si contendevano la titolarità, in qualità di ispiratrici.

Franca Faldini, intervistata negli anni, ha lasciato trasparire un ritratto del suo compagno a  tinte forti e contraddittorie. Ne ha esaltato la generosità.

Totò è Napoli. De Curtis incarnava  un mondo, la sua città problematica, piena di quei tipi umani capaci di cialtronerie da porgere con simpatia e gentilezza: truffatori ingegnosi a fin di bene; tapini angariati dal potente di turno, che si consolavano con un piatto di spaghetti ; miserabili che si inventavano lavori improbabili; gagà con la pronuncia snob del circolo canottieri; guappi che urlano senza far paura a nessuno; amanti della femminilità con l’occhio di triglia e la strusciata sempre pronta;dispotici taccagni alla "Molière"; italici eroi quando meno te l’aspetti. Era di volta in volta inaffidabile, rassegnato, beffardo, fellone, bugiardo, distinto, forbito, gaglioffo.

Non fu solo a propagandare una certa “napoletanità”, in questo aiutato da colleghi eccellenti: il regista, cantante e attore Vittorio De Sica, premio oscar; Tina Pica, caratterista di pregio; i De Filippo; Sophia Loren.

Una citazione per meriti  "partenopei" va attribuita anche a Nino Taranto, che interpretava figure accigliate e diffidenti, poi star dei" musicarelli" a propria volta e ad Antonio Cifariello, una sorta di bonario sex simbol (prematuramente scomparso); senza contare tutta una schiera di coprotagonisti e caratteristi, che intensificavano il gusto di quel genere di commedia, da Mercedes Palumbo ad Aldo Giuffré a Giacomo Furia, per fare solo alcuni nomi. Purtoppo la figura del caratterista,  nel cinema italiano, sta scomparendo: tutti vogliono fare i protagonisti e il valore delle pellicole scade.

Napoli è poi lentamente scomparsa dai circuiti  cinematografici nazionali , a parte qualche film di denuncia come "Le mani sulla città" di Franco Rosi. E' stata anche esclusa dalla scena musicale "che contava", eccezion fatta per i lavori di qualche colto ricercatore di antiche musicalità come Roberto De Simone, che ha prodotto fenomeni irripetibili, quali "La Nuova Compagnia di Canto Popolare", gruppo famoso negli anni '70.

L'immagine della città rimase più o meno fissata nei canoni tradizionali fino all'avvento di Massimo Troisi, che fece in tempo a introdurci in una nuova dimensione, più tormentata e moderna, di questa metropoli, sulle musiche di Pino Daniele. Mentre imperversano i  travagli da metropoli irrisolta, Napoli si ripropone nel pop neomelodico e nelle fiction, ma le sue frequenti crisi hanno fatto dimenticare la vecchia immagine, costruita anche grazie al principe De' Curtis. Oggi, per conoscerla, guardiamo "Gomorra".


Totò non ci ha abbandonati: ci fa compagnia ogni estate della nostra vita, se lo desideriamo, se non siamo in vacanza e finché qualche direttore di palinsesto deciderà che val sempre la pena di passare i suoi  film.

 

 

(*1)  Ballo in voga negli anni '60, consisteva nello scuotimento (shake in inglese) di tutto il corpo