Del Tradire
Taccuino #21
L'Essenza del Vuoto - Il Non Ente Narcisista
Nota iniziale: Questo taccuino esplora il cosiddetto narcisista non come una persona patologica, ma come rappresentazione di stortura mentale, entità priva di profondità, non necessaria al panorama esistentivo. Non si tratta di giudizio morale, bensì di una riflessione sul fallimento ontologico che si esprime in tale partecipante della condizione cosiddetta umana. Qui non vi è vita reale, come taluni potrebbero vivere partecipando del subire di proprie interpretazioni, né sostanza "vitale", ma solo un’illusione di presenza in un movimento senza senso verso la morte o, tuttalpiù, una direzione che discorre di reale qual di movimento di morte, di produzione di esseri cosiddetti umani in un panorama di mancanza di altruistica riflessione che porta a gettare nel mondo sostanze che percorrono tempi morti.
1. L’Essenza della Stortura: L’Impostura del “Non-Ente”
Il cosiddetto narcisista rappresenta un errore fondamentale nella costruzione della cosiddetta coscienza; è la maschera dell’assenza, la stortura mentale che si discosta dall’autentica esistenza per piegarsi a un teatro di superficialità. Non parliamo di vita reale, comunemente intesa, ma della “vita” come movimento di morte: un’esistenza che non lascia impronte di significato, ma solo un’ombra su un palcoscenico vuoto. Per tale figura, ogni azione, ogni “amore”, e ogni relazione si risolvono nella proiezione del proprio ego, una condanna che imprigiona sia chi ne è affetto sia coloro che ne subiscono l’influsso.
In questa distorsione, l’essere diventa paradosso: si definisce per l’assenza e si nutre di una vita che, in verità, è solo morte. Qui, la mancanza di un altruismo vero, di una riflessione profonda che si apra agli altri, produce un’esistenza che non si eleva, ma affonda in un ciclo di morte apparente, di non-essere. Tale condizione è una sfida alla concezione stessa della realtà, che si traduce in una questione puramente fenomenica: il narcisista non è un ente, ma una funzione vuota che porta con sé il senso di un errore di fondo.
2. Il Perturbante: Il Non-Ente Come Doppio Oscuro
Il tal Freud definiva il “perturbante”, unheimliche, come ciò che ci appare familiare ma, al contempo, minacciosamente alieno. Il tal Eraclito, sempre sia esistito, (forse) il primo psicanalista, non "ci" aveva chiarito delle profondità nascoste al manifesto, nella sua oscurità? E non è quivi che noi siamo andati, vissuti, presenti, e incamminati abbiam visto e indaghiamo, e portatori narriamo? Il narcisista si profila proprio come un doppio oscuro dell’essere umano, una caricatura vuota, apparentemente senza sostanza, che si muove nel mondo come simulacro di ciò che altri sono, in assenza di un centro autentico. Egli è l’illusione del cosiddetto umano, che inquieta perché rappresenta un futuro possibile in cui l’essenza è divorata dalla vanità e dal desiderio di apparire, importanze effimere ma per taluni solide rappresentazioni di sempre nuovi plagi sociali.
In questo scenario, il perturbante si palesa come riflesso di un fallimento ontologico: il narcisista è lo specchio dell’assenza di vita "reale", è l’immagine dell’umanità che si arrende alla morte come stato permanente. Il suo sorriso, la sua presenza, sono solo apparenze di un vuoto, come una mimesi tragica dell’essere autentico che non si realizza mai. Questo “non-ente” si presenta così come il monito più terribile: colui che esiste solo come ombra tra le ombre, riducendo l’esistenza a un gioco di riflessi senza sostanza. Si è in presenza della sola immagine più vuota.
3. La Mancanza di Esserci: Il Narcisista Come “Non Ente”
Il narcisista non è semplicemente incapace di amare (qui si pensi al senso comune e non all'unione tra cose) o di sentire; egli non è in grado di esserci. La sua vita è una rappresentazione che scivola sulla superficie delle cose, mai penetrandole, mai possedendo una vera dimensione interiore. In questa incapacità di esserci si cela la sua natura di “non ente,” di colui che non possiede una posizione esistenziale nel mondo, ma si limita a vagare senza mai afferrare la consistenza dell'esistentivo reale.
Ogni interazione è contaminata da una vacuità irrecuperabile, che trasforma la relazione in uno specchio privo di riflessi veri. La sua presenza è dunque la manifestazione più chiara della non esistenza: il narcisista non vive davvero un solo istante, un solo momento, ma interpreta un ruolo svuotato di senso, relegando il proprio esperire al livello di una mera prestazione teatrale, un’illusione di partecipazione alla vita che non si realizza mai.
4. L’Immagine Vuota: Un “Non Necessario” Tra Altri “Non Necessari”
Se l’essere umano autentico è in qualche modo necessario alla rete dell’esistenza, il narcisista rappresenta invece il “non-necessario.” Egli non contribuisce, non costruisce, non ama davvero (ancora, ci rendiamo conto di espandere qui la nostra sicurezza d'intenti, e di allontanarci dalle radici per manifestare apertamente un senso comune, sciolto dalla nostra radicalità); la sua funzione si risolve in una sterile proiezione di sé stesso che lascia il mondo intatto, o peggio, svuotato di significato. La sua “essenza” non è mai autenticamente partecipante, ma un semplice riflesso, come una superficie riflettente che distorce e annienta invece di rivelare, una lastra di marmo, venata ma sempre fredda.
L’impatto di questa esistenza priva di senso è tragico: nella produzione continua di “nuovi sé,” il narcisista replica la propria stortura mentale, gettando nel mondo “esseri” destinati a percorrere una vita senza autentica direzione, senza – quindi – autentico senso, ma vera perdizione, sostanze di morte che inquinano il tessuto esistenziale. Non è vita "reale" quella che emerge, ma un susseguirsi di morti apparenti, un panorama abitato da non-enti, incapaci di incidere davvero nella trama del reale. Questo non può escludere “realtà”, differenti realtà, più livelli del reale, ma anzi rafforza la tesi non esista un “reale”, come non esiste una verità. Ed esistono, quando fatte esistere. L’aiuto che cercavamo: l’accorta evidenza. Ma cosa è realtà? Cosa è reale? Cosa, se non altro concetto liquido? Altro concetto fluido? Astrazione che il cosiddetto, ancora cosiddetto, umano non può trattenere e fa sprigionare dall’organismo riflettendo sociale?
Conclusione
Questo Taccuino potrà anche essere letto come un monito per coloro che si muovono nel mondo come ombre, per coloro che esistono solo come apparizioni vuote. Tuttavia non è diretto alle masse adombrate e persegue su reali tempi la nostra indagine che scava dall'osservazione di non necessari tra non necessari, i transeunti che ossigenano tempi contingenti, a motivo di contingenza, per contingenza. Dubitiamo, secondo nostra congettura, vi possa essere il tentativo di comprensione dalla posizione ombre. Il narcisista, nella sua distorsione, è l’esempio più evidente di un errore ontologico che, anziché accedere all’essenza dell’essere, si perde nella morte vivente. La sua figura ci obbliga a interrogarci sul senso stesso dell’esistenza e a riconoscere l’illusione di una “vita reale” che è solo un altro aspetto della morte, un inganno che ci invita a cadere nella trappola della superficialità e del nulla.
Ci rendiamo conto questo taccuino possa dunque essere il più terribile perché svela l’abisso dell’umano non vissuto, l’orrore della vita senza autentica partecipazione, e ci invita a riflettere su cosa significa realmente essere in un mondo di ombre.
La realtà cruda è quindi terribile? Non ci è stato detto che meravigliarsi svela l'inattingibile? Non è forse questo il velo che maschera? Meraviglia? Meravigliati? Che se cogliamo l'ostacolo al mondo, l'uno cosa e la cosa uno che andiamo a definire, della morte, intendiamo vivere l’aporia. Questo siamo? Questo è. Dobbiamo stupirci dell'angoscia, del terrore? Dobbiamo? Se possiamo rimanere fermi, vogliamo rimaner fermi. Ma non questo, siamo. Dannata volontà, che scaturisce per errore del pensare nel sociale, non per pensiero. Illusioni. Fantasmi.