Benvenuti nell’era dell’elettorato highlander. A quanto pare la speranza c’è tutta: ne resterà soltanto uno! Egli, ammantato da capi pregiati e lapislazzuli luccicanti incastonati nella livrea da guerriero d’altri tempi, si recherà così all’urna dell’unico seggio nazionale, anch’esso sopravvissuto all'ennesimo vituperio della Costituzione con annesso annichilimento del suffragio universale.

Sicché, sempre lui, scostato il fiero mantello tricolore sulla possente schiena, petto in fuori brandirà la matita copiativa e con essa segnerà il destino ultimo del popolo italiano, tapino e galeotto.

Che dite, torniamo a esseri un pochino più seri?

La morale di Amleto a cui ho ispirato il titolo di questo articolo era molto seria. Il suo “essere o non essere” denunciava l’impotenza umana di fronte al male, tale che si poneva quel dubbio esistenziale. E io mi chiedo qui e ora: votare o non votare è un dubbio amletico o un’altra fuga verso il pensiero magico? Quella condizione, ormai nota e contorta, che crea situazioni fantasiose per non doversi preoccupare del problema. E il problema sarebbe la politica sfiduciata dalla maggioranza delle persone che non vanno più a votare (augurandoci non si tratti anche di cose come il lassismo e l’indolenza).

Evidentemente, qualcuno deve aver sparso la voce che restando a casa si risolve tutto. Ma prima ancora vi hanno detto: «L’astensione è un diritto!», e ci avete creduto. Molto bene. Allora iniziamo col parlare di questo presunto diritto e lasciamo per ultimo quel che accade quando viene esercitato. Le chicche… sempre alla fine; dopo le mazzate.

Tutti conosciamo l’art. 48 della nostra meravigliosa, ispirata e martoriata Costituzione. Sappiamo che al secondo comma vi è scritto: «Il voto … è dovere civico». Essendo un dovere positivo (di fare) rappresenta un obbligo giuridico. Quindi, come prima cosa, abbiate cura di notare che votare sarebbe obbligatorio.

Capisco che il termine “obbligo” faccia saltare qualcuno sulla sedia, compresi eminenti giuristi. Ma quali argomenti vi propongono? Come vi spiegano le differenze etimologiche, filosofiche e giuridiche tra diritti, doveri e obblighi? E' sempre sugli argomenti che casca l’asino; non sui titoli o sull’inesistente “principio di autorità”. Proseguiamo.

L’art. 48 si preoccupa soprattutto di garantire il diritto al voto dei cittadini evitando che vi siano posti limiti, se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge (sic!). Se si voleva fare solo questo, non sarebbe stato inserito anche quel comma che IMPEGNA il cittadino a esercitare questo diritto come dovere nei confronti della collettività, e non solo come mero diritto a farne ciò che si vuole. Ne discende che non si può rimanere a casa; e se si vuole proprio protestare qualcosa, e sempre che abbia un fine sensato, si vota una bella scheda bianca. Ma si deve votare.

Annoiamoci ora qualche istante osservando anche come discussero la questione i padri costituenti, prendendo a riferimento il nostro solito e prezioso testo “La Costituzione, ill. con i lavori preparatori, Falzone-Palermo-Cosentino, Camera dei Deputati, 28/04/1949” (in breve: Cost.I.CD.1949).

L’A.C. (Assemblea Costituente) diede luogo a un vivace dibattito sul dovere di voto del cittadino, finendo per stabilire che fosse eliminato «ogni possibile futuro equivoco di interpretazione» stabilendo «la possibilità, anzi quasi un invito al legislatore ad affermare sostanzialmente nel corpo della legge elettorale un preciso dovere giuridico con corrispondente sanzione, rimanendo del tutto libero il legislatore stesso per ciò che attiene alla natura della sanzione, la quale potrà essere penale, o amministrativa o anche semplicemente morale» (Cost.I.CD.1949, pag. 96).

Ci fu discussione solo per evitare vincoli sulle future leggi elettorali a quorum minimi o cose simili, e non perdere di vista nemmeno l’impalcatura della Costituzione basata sul concetto di “cittadino sovrano e partecipe”. Pertanto, doveva essere naturale considerare il cittadino direttamente interessato, e non ancora il suddito al quale comminare punizioni per il suo disinteresse. Cautamente - e fu un bene! - si decise di dare infine rilevanza giuridica a questo essenziale dovere, lasciando stabilire al legislatore il genere di sanzione da applicare al cittadino manchevole di esercitare il suo diritto di voto.

Un primo impulso lo diedero gli stessi padri costituenti richiamandosi al decreto luogotenenziale che apriva i lavori dell’A.C. «In sede di prima applicazione della norma costituzionale in esame (leggi per la elezione della prima Camera e del primo Senato della Repubblica), si è ritenuto di circoscrivere la sanzione per chi non vota al campo morale, essendosi operato un rinvio ricettizio alle norme all'uopo stabilite dal D.L.L. 10 marzo 1946, n, 74, per la elezione dei deputati all’Assemblea Costituente, il quale prevede all'art. 1 l’esposizione per la durata di un mese nell'albo comunale dell'elenco di coloro che si astengono dal voto e la menzione nei certificati di buona condotta, per cinque anni, delle parole “non ha votato”» (Cost.I.CD.1949, ut supra).

Niente pene o esborsi in sede di prima applicazione, ma una sonora sberla morale che servisse a scuotere il nuovo cittadino della costituenda repubblica, ricordandogli che egli è sovrano ma deve anche mostrarsi degno e capace di questo ruolo. E se in futuro perseverasse prendendo delle brutte abitudini, sarà il legislatore a determinare se la pena debba essere inasprita e magari determinata in sede penale.

Anche in sede penale, dunque!
Sembra abbastanza chiaro lo spirito della Costituzione.

La norma di “punizione morale” che abbiamo appena visto è rimasta in vigore sino a pochi anni fa, abolita solo nel 2009 dal mega DL 200/2008 sulla semplificazione normativa che ha spazzato via centinaia di norme pre-repubblicane e anacronistiche. Ma non quegli ultimi tre commi dell’art. 1 del DLL n. 78/1946; quella norma non era affatto anacronistica e costituiva l’esempio dato dai padri costituenti per ogni futura revisione della sanzione, onde onorare il secondo comma dell’art. 48 Cost.

I nostri nonni ne avevano rispetto. Infatti qualcuno ricorderà del loro ammonimento ad andare sempre a votare, altrimenti - dicevano ai nipoti - si potevano avere problemi sul lavoro, a fare concorsi, nella vita pubblica in generale. Qualcuno lo ricorda il nonno o il papà che parlavano così? Timore o rispetto! Ma centrava l’obiettivo che si era prefissato la Costituzione.

I politici lo avevano già da tempo dimenticato. Di quella punizione morale non si parlò più già dopo pochi anni e infine venne cancellata in sordina, tra l’oblio delle dimenticanze, la costante anestesia dei demagoghi ciarlanti, e l’indubbia convenienza di questi ultimi in veste di politicanti. Ma la Costituzione esiste e resiste!

Convenienza, vi dico, perché di progresso non se ne vede l’ombra. Ditemi voi che progresso si trae dall’insultare la Costituzione e fare in modo che i cittadini acquisiscano un diritto inesistente, come l’astenersi dal voto senza conseguenze. Invece la convenienza è logica, laddove il politico può ridurre i suoi sforzi e concentrarli solo su una platea di elettori che riesce meglio a gestire, invogliare e convincere. E gli altri, restando a casa scontenti, non andranno a rovinare il suo quorum per essere eletto.

Punirli? Al contrario: per i politici l’astensionista andrebbe persino premiato!

Così, tornando al tema introdotto, risulta oltremodo incontestabile la favola de «L’astensionismo è un diritto!». Non lo è affatto. La Costituzione prevede l’esatto contrario e l’unica parte a cui conviene è la classe politica contorta.

Si deve riflettere su questo, e soprattutto sul risultato che si ottiene non andando a votare: poche persone decideranno il vostro futuro, così come oggi in Lazio e Lombardia esisteranno due governi che hanno ottenuto più o meno il 20% dei suffragi. Il 60% degli elettori sono rimasti a casa, e il resto ha votato altro.

Questo vi andrebbe bene?
Di moralismi su questioni peraltro banali se ne sentono anche troppi; ma sul cittadino astensionista, costituzionalmente sgradito, bisognerebbe concentrarsi meglio e capire cosa gli stia saltando per la mente!


📸 base foto: Edwin Booth nel ruolo di Amleto (1870), foto di J. Gurney & Son, N.Y., Biblioteca del Congresso