È per lo più credenza popolare che dopo 7 anni i matrimoni possano entrare in crisi per sopravvenuta incompatibilità a vivere serenamente e felicemente il rapporto di coppia.

In parole povere, cioè, sopraggiungerebbe un ineluttabile momento in cui, venuti al pettine i nodi della reciproca insofferenza, lui o lei esterni al partner la più popolare dichiarazione di guerra “nun te reggae più”!

La vita di tutti i giorni ci insegna, però, che molto spesso il “nun te reggae più” prenda corpo anche molto prima dei 7 anni.

Ecco per l’appunto, da giorni mi domando se lo scombinato matrimonio tra leghisti e pentastellati potrà superare non i 7 anni ma i 7 mesi e, soprattutto, chi tra Di Maio e Salvini profferirà per primo il fatidico “nun te reggae più”.

Tra l’altro non riesco nemmeno ad immaginare come il flemmatico presidente Mattarella, nei panni di avvocato matrimonialista, possa affannarsi per tentare la conciliazione tra i partner.

Certo è che difficilmente potrà avere lunga vita questa babele governativa in cui tutti sproloquiano di tutto, dando prova di quanta poca sintonia e comunione di intenti ci sia tra le componenti del governo.

È vero che Luigi Di Maio si sforzi di fare da badante per  stemperare le tensioni create dall'arrogante ed incontenibile invadenza di Matteo Salvini, ma ciò nonostante da alcune settimane, stanno venendo al pettine alcuni primi nodi che dimostrano la loro incompatibilità a gestire in armonia il governo del Paese.

Ad esempio, la dispotica pretesa del ministro dell’interno che, travalicando il suo ruolo istituzionale, ha imposto il suo candidato alla presidenza RAI, bocciato peraltro dalla commissione parlamentare, sta creando una condizione di stallo di cui non è semplice prevedere la via di uscita.  

Così come la stessa letale tragedia del viadotto Morandi ha rilevata la presenza nelle due forze di governo di obiettivi ed interessi non solo contrapposti ma anche divergenti.

Da un lato c’è la affrettata e sommaria volontà del M5S di revocare la concessione ad Autostrade, al fine di recuperare credibilità e terreno perduto con una prova di decisionismo, dall’altro c’è l’interesse leghista a non sconfessare i privilegi concessi a Benetton, nel 2008, dallo stesso Salvini con il voto favorevole all’emendamento che modificò il decreto predisposto dal governo Prodi.

Ora, per la ostinazione con cui il M5S sembra voler portare avanti la revoca della concessione questo tema potrebbe rappresentare la prima buccia di banana per il governo gialloverde, senza neppure attendere le conclusioni della magistratura.

Per contro, per il tanto strombazzato taglio delle cosiddette pensioni d’oro, tema della campagna elettorale pentastellata, si sta facendo strada, ancora una volta, il solito compromesso minimalista che non toccherebbe le pensioni ma introdurrebbe per tre anni un nuovo contributo di solidarietà.

Più spinosa e ad alto rischio per l’esecutivo, sarà invece la decisione sulla TAV, un braccio di ferro tra i partner governativi che potrebbe risultare rovinoso.

Di questi giorni, infine, è il nuovo ginepraio fatto fermentare intorno alla nave Diciotti della Guardia Costiera e che ha indotto persino la magistratura ad intervenire con ipotesi di reato.  

Nell’assordante silenzio di Di Maio e del M5S, infatti, il ministro dell’interno, con l’arroganza ed il cesarismo di colui che è posseduto dalla ebbrezza del potere, ha ritenuto di contravvenire ad ogni legge, nazionale ed internazionale, con l’intento di dimostrare, ancora più, che il governo gialloverde è di fatto Salvini-dipendente.

Una prova di forza che sicuramente ha infastidito ed imbarazzato il presidente Mattarella.

Già, ma il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, che fa di fronte al proliferare di queste diatribe interne all’esecutivo?

Assolutamente nulla, consapevole come è di trovarsi a Palazzo Chigi per adempiere solo alla liturgia formale del mandato e non per governare.

Ora mi viene in mente una domanda che spesso ci si pone nel mondo del calcio per un allenatore in difficoltà: “Arriverà a mangiare il panettone?”

Ebbene, credo che oggi la stessa domanda la si possa porre per il governo gialloverde: “Arriverà a mangiare il panettone?”