Quella di circa 5,7 milioni di lavoratori che, se la tendenza non dovesse essere invertita, rischiano di alimentare il numero già alto di poveri in Italia, entro il 2050.
L’allarme è contenuto nel focus realizzato da Censis e Confcooperative dal titolo: “Millennials, lavoro povero e pensioni: quale futuro?”Nello specifico, secondo lo studio i 5,7 milioni di poveri potenziali sono composti dai circa 3 milioni di Neet, giovani tra i 18 e 35 anni che non studiano né lavorano e che, quindi, hanno rinunciato a qualsiasi prospettiva.
A questi si aggiungono i 2,7 milioni di lavoratori precari, impegnati in lavori gabbia e working poor, cioè dequalificati e anch’essi senza aspettativa di reddito e crescita professionale. A questo si aggiunge un problema di adeguatezza del “rendimento economico del lavoro” che espone a povertà. Per questo lavorare potrebbe non bastare. Soprattutto per i giovani lo slittamento verso il basso delle remunerazioni, in assenza di minimi salariali, segna un gap tra i destini dei lavoratori e la sostenibilità a lungo termine dell’intero sistema di welfare.
Secondo il Censis questo è il cosiddetto “effetto sfrangia mento” e riguarda il lavoro a bassa qualità e a bassa intensità, che si sta sempre più diffondendo. Sono infatti 171 mila i giovani sottoccupati, 656 mila quelli con contratto part-time involontario e 415 mila quelli impegnati in attività non qualificate.