Pur di prendere parte ancora all'irritante spettacolino della politica, anche se da attore non protagonista e quasi certamente l’ultima volta per motivi anagrafici, secondo voci sempre più insistenti l’ex cavaliere, Silvio Berlusconi da Arcore, starebbe ordendo un imprevedibile coup de théâtre.

Sembrerebbe, infatti, che per timore di rimanere spiazzato da una fuga in solitario di Salvini e nel disperato tentativo di mettere in salvo quel poco che ancora resta di Forza Italia dopo il 4 marzo, stia per invitare Di Maio ad un incontro.

Inaspettato, sbalorditivo, sconcertante!

Forse sarò troppo sospettoso e malpensante ma mi puzza questa improvvisa apertura dopo che, per mesi, proprio Berlusconi si era accanito in prima persona contro il M5S, denigrandolo, diffamandolo, accusandolo di essere una “pericolosissima setta di incompetenti e di incapaci”, e dopo aver minacciato di querelare Di Battista solo perché leggendo una sentenza della Cassazione aveva osato ricordare agli italiani i flussi di denaro che da Arcore erano andati alla mafia.

Non è del tutto chiaro se si tratti solo di una prima vaga ipotesi o se siano già stati attivati i contatti per concordare tempo e luogo dell’incontro.

Così come non sono note le reazioni di Di Maio, Casaleggio e Grillo a queste che al momento sembrano essere solo chiacchiere.

Di certo è che se il signore di Arcore si proponesse davvero di incontrare il M5S non lo farebbe con l’animo di chi vuole cercare una unità di intenti, ma piuttosto con il proposito di dettare condizioni e compromessi che finirebbero, poco a poco, per snaturare i principi e gli obiettivi politici dei pentastellati inficiandone la credibilità.

Per Di Maio, cioè, si tratterebbe di una vera prova del fuoco, difficile e molto rischiosa.

Un vero trappolone, tesogli da marpioni che da decenni si muovono senza scrupoli sulla scena politica inciuciando sempre e comunque per il loro esclusivo tornaconto.

Un rischio, il primo e più immediato, potrebbe essere quello, ad esempio, di farsi convincere a sostenere l’elezione alla presidenza del Senato del forzista Paolo Romani, fortemente voluto da Berlusconi, rinunciando così al principio “no a candidati condannati, sotto processo e indagati”.

Sarebbe ancor più rischioso abboccare alle esche di un qualche ministero in un ipotetico governo-accrocco con leghisti e forzisti, in cambio dell’abbandono di uno o più punti qualificanti del programma pentastellato.

La stessa ipotesi di un eventuale accordo oggi con Berlusconi, o con chi per lui, prima che inizino le consultazioni al Quirinale, potrebbe pregiudicare una prospettiva, magari più favorevole al M5S, che il presidente Mattarella riuscisse a tessere incontrando le forze politiche.

Insomma, un trappolone tentacolare dal quale Di Maio dovrà stare alla larga se non vorrà da un lato pugnalare il M5S e dall’altro trovarsi inseguito con i forconi da undici milioni di elettori.