I commentatori politici e non che si alternano sui media sono tutti "estasiati" dall'ipotesi che Mario Draghi possa, a breve, formare un nuovo governo e guidare così il Paese.
Sulla stessa linea, salvo una eccezione e qualche distinguo, anche i leader delle varie forze politiche rappresentate in Parlamento.
Il no a Draghi è quello di Giorgia Meloni che, mascherandosi dietro una correttissima contrarietà di merito e metodo sulla formazione di un esecutivo guidato dall'ex presidente della BCE, vuole andare alle elezioni per "monetizzare" il consenso che in questo momento vede il suo partito, Fratelli d'Italia, molto più avanti nelle preferenze di voto rispetto a tre anni fa. In tal modo, non solo la Meloni può garantire un seggio agli attuali senatori e deputati di FdI, ma diventerebbe una forza politica determinante nella prossima legislatura.
Le altre forze politiche hanno detto sì a Draghi, con Lega e 5 Stelle che vogliono però sapere che cosa abbia intenzione di fare... almeno questo!
Adesso, però, proviamo a ricordare chi sia - esclusivamente in base a ciò che lui ha fatto nel corso della sua carriera, di funzionario prima e banchiere poi, Mario Draghi.
Dopo essersi laureato con il prof. Federico Caffè, uno dei padri del keynesismo italiano, grazie ad una brillante tesi di laurea su "Integrazione economica e variazioni dei tassi di cambio" che gli valse la lode, Draghi ne diventa assistente per poi diventare nel 1981, ad appena 33 anni, ordinario di Economia e politica monetaria all'Università di Firenze.
Ma la carriera universitaria si interrompe nel 1991 quando Guido Carli, ministro del VII governo Andreotti, lo chiama a ricoprire l'incarico di Direttore Generale del Ministero del Tesoro. Draghi viene poi riconfermato nel ruolo dai governi successivi: Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema... fino al 2001.
È il decennio delle grandi privatizzazioni, con lo Stato che si disfa in tutto o in parte di IRI, Telecom, Comit, Credit, Eni, Enel... per un totale di 182mila miliardi di lire.
Fece scalpore, al tempo, la notizia dell’incontro avvenuto nel 1992, prima di quel processo di privatizzazioni, a bordo del panfilo HMY Britannia della Regina Elisabetta, con alti esponenti del mondo finanziario internazionale, nel corso del quale Draghi si limitò (secondo Sergio Romano) a introdurre i lavori del seminario con una relazione sulle intenzioni del governo italiano, ma in cui si dichiarò perfettamente consapevole del fatto che un tale numero di privatizzazioni avrebbe "indebolito la capacità del Governo di perseguire alcuni obiettivi non di mercato, come la riduzione della disoccupazione e la promozione dello sviluppo regionale", ma che tuttavia lo riteneva "inevitabile perché innescato dall’aumento dell’integrazione europea".
Nei suoi dieci anni da grand commis, Draghi fece sottoscrivere al Tesoro una serie di prodotti derivati che si riveleranno assai onerosi per la nostra finanza pubblica, poi nel gennaio del 2002, approda ai vertici della banca d’affari americana Goldman Sachs con la carica di Vice Chairman e Managing Director per le strategie europee e, dal 2004 come membro del Comitato esecutivo del gruppo.
Proprio in quel periodo, Goldman Sachs "rifilò" alla Grecia un pacchetto degli stessi prodotti derivati a suo tempo sottoscritti dall’Italia, che avrebbero dovuto permettere all'economia ellenica, già molto fragile all'epoca, di entrare in Europa. Gli stessi prodotti che però, alcuni anni dopo, si riveleranno "tossici".
Intanto, nel 2005 Mario Draghi diventa Governatore della Banca d’Italia ricoprendo l'incarico fino al 2011, data in cui passerà a dirigere la BCE.
Ed è proprio in questo periodo che, insieme al governatore uscente Jean-Claude Trichet, scrive la "famosa" lettera a Napolitano in intimava all'Italia una serie di misure improrogabili per "ripristinare la fiducia degli investitori", tra cui: una profonda revisione della pubblica amministrazione, privatizzazioni su larga scala compresa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali, la riduzione del costo dei dipendenti pubblici, se necessario attraverso la riduzione dei salari, la riforma del sistema di contrattazione collettiva nazionale, criteri più rigorosi per le pensioni di anzianità, riforme costituzionali che inasprissero le regole fiscali.
Fu sua l’idea del fiscal compact ("una revisione fondamentale delle regole a cui le politiche di bilancio nazionali dovrebbero essere soggette in modo da risultare credibili") che si materializzerà nel 2012 con la sottoscrizione di una versione ulteriormente indurita del Patto di stabilità istituito col trattato di Maastricht (che Draghi consacrerà in un’intervista al Wall Street Journal con queste parole: "Non c’è alternativa al consolidamento fiscale, il modello sociale europeo appartiene già al passato").
Una breve parentesi. Oggi Silvio Berlusconi, che all'epoca venne defenestrato da Palazzo Chigi a seguito della letterina di Draghi, si precipita a Roma per dare la sua benedizione ad un governo da lui guidato!
Ma Draghi ha anche salvato l'euro e soprattutto l'Italia quando nel luglio del 2012, con il famoso discorso del "Whatever it takes", dichiarò che la Bce sarebbe stata pronta a tutto per difendere la moneta europea. fermando la speculazione finanziaria con un programma di acquisto dei titoli dei vari Stati dell'eurozona.
Ma è lo stesso Draghi che nel luglio del 2015 dà la mazzata finale alla Grecia e al governo Tsipras: "il vae victis intimato dall’Eurogruppo e sancito dalla Commissione, a cui la BCE aggiunse il proprio peso da 90 tagliando i flussi di liquidità d’emergenza alle banche greche come punizione per aver osato indire un referendum contro i diktat europei".
Nella primavera del 2020, Draghi pubblica sul "Financial Times" l'articolo dal titolo "We face a war against coronavirus and must mobilise accordingly".
In quell'articolo, Draghi paragona la pandemia ad una guerra, aggiungendo che "le guerre […] si finanziavano attingendo al debito pubblico".
Pertanto, "livelli molto più alti di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e dovranno essere accompagnati dalla cancellazione del debito privato"...
"Le banche devono rapidamente prestare fondi a costo zero alle aziende preparate a salvare posti di lavoro. Poiché in tal modo esse divengono veicoli di politica pubblica, il capitale di cui necessitano per eseguire questo compito deve essere fornito dallo Stato sotto forma di garanzie pubbliche su tutti gli sconfinamenti aggiuntivi di conto o sui prestiti. Né la regolazione né le regole sulle garanzie devono intralciare la creazione di tutto lo spazio necessario nei bilanci delle banche a questo scopo. Inoltre, il costo di queste garanzie non dovrebbe essere basato sul rischio di credito dell’azienda che le riceve, ma dovrebbe essere zero indipendentemente dal costo di finanziamento del governo che le emette".
In pratica, un anno fa, Draghi ha dichiarato quella che sarà la base su cui opererà il suo governo (nel caso riesca ad entrare in carica). Da capire però come.
Sempre nel suo discorso, "subito dopo aver parlato dell’imperativo di “intervenire con la necessaria forza e rapidità per impedire che la recessione si trasformi in una depressione duratura” e subito prima di avvertire che dovremo abituarci a vedere “alti livelli di debito pubblico” diventare un dato permanente dell’orizzonte futuro, l’ex governatore della BCE precisa, quasi en passand, che “la perdita di reddito subita dal settore privato, ed il debito raccolto per colmare la differenza, devono alla fine essere assorbiti, in tutto o in parte, dai bilanci degli stati”. Poco oltre spiegherà che le banche, in quanto in grado di “raggiungere ogni angolo del sistema economico” e “di creare liquidità all’istante, concedendo scoperti oppure agevolando le aperture di credito”, sono lo strumento ideale per distribuire in tempo reale le risorse là dove “servono” per mantenere la sostenibilità e la dinamicità del sistema, meritandosi così la necessaria copertura dei propri eventuali disavanzi con risorse pubbliche. Dunque “Banca” (privata) – “Impresa” (privata) – Mercato del lavoro e delle merci (privati entrambi): questo sembra, nel New Deal draghiano, il circuito privilegiato, anzi esclusivo, della regolazione sociale. Al “Pubblico” – cioè allo Stato – il compito di prestatore di ultima istanza. Anzi: di finanziatore finale di un dispositivo che rimane monopolisticamente privato. E che campeggia come unico mediatore con la Società.Nulla lascia intendere – in questo ordine del discorso – che ci sia una sia pur minima possibilità per l’apertura di canali di erogazione diretta di risorse dalle finanze pubbliche al sociale. O per l’ipotesi – sia pur estrema – di una qualche riappropriazione di risorse finanziarie, organizzative, operative da parte del settore pubblico in forma di nazionalizzazione o di partecipazione societaria (tipo Iri delle origini, o National Recovery Act roosweltiano). Il Capitale rimane integralmente privato e mantiene appunto il monopolio della distribuzione di risorse collettive. Per questo mi sento di dire che il “paradigma liberista” rimane alla fine intatto, pur nel passaggio d’epoca. E che il vecchio motto proprietario: “privatizzare i benefici nei tempi di vacche grasse e socializzare le perdite in tempi difficili” finisce per rivelarsi – pur nella metamorfosi del linguaggio – tutto sommato intatto".
Il commento precedente è di Marco Revelli il cui articolo "Draghi, lupi, faine e sciacalli" pubblicato un anno fa su "volerelaluna" è stato in gran parte utilizzato per riassumere i pensieri e le opere di Mario Draghi.
Per concludere, già un anno fa Revelli faceva notare come, all'uscita dell'articolo sul FT, i due Mattei (Salvini e Renzi) lo avessero commentato:
"Un’ultima battuta sul miserabile gioco di chi è subito balzato sulle parole di Draghi per farne una pedina nel retrobottega del sordido gioco politico italiano: Matteo Salvini, in primis. E a ruota l’altro Matteo, sempre alla ricerca affannosa di brandelli di visibilità. Entrambi ignari dell’orizzonte ampio in cui quell’intervento si collocava, e impegnati a tenere artificialmente in vita quell’ipotesi di “governissimo” che vedono come unica ciambella di salvataggio per tenere appena sopra il pelo dell’acqua due leader naufragati. “Mario Draghi ha il fisico per controbattere a Merkel e Macron” ha twittato il primo, evidentemente non informato del fatto che Macron in questa circostanza è alleato dell’Italia contro la Merkel e dimentico che appena un paio di anni fa, da palazzo Chigi, aveva scagliato un altro tweet-siluro contro l’allora Governatore della BCE con la caustica nota: “Conto che gli italiani in Europa facciano gli interessi dell’Italia come fanno tutti gli altri Paesi, aiutino e consiglino e non critichino e basta”. Più sobrio il secondo: “Draghi indica la via, tutti dovranno seguirla” si è limitato a dichiarare al Tg2 post. Ma si sa che continua a lavorare sott’acqua per allargare lo spazio, attualmente davvero minimo, a un cambio di maggioranza che abbia in Draghi il proprio (improbabile) pivot."
Adesso giudicate voi se e come Mario Draghi potrà essere d'aiuto agli italiani, anche a quelli che non guadagnano 10mila euro al mese.