Fino a qualche mese fa il premier israeliano Netanyahu e l'allora presidente americano Donald Trump erano legati da una comune visione d'intenti per quanto riguarda la politica estera dei due Paesi. Avevano persino annunciato un piano di pace unilaterale per risolvere la questione palestinese, trasformando Gerusalmme Est, Cisgiordania e Gaza in una sorta di riedizione del Bantustan in salsa mediorientale. 

Adesso, Netanyahu è in scadenza di mandato in attesa che gli israeliani, per l'ennesima volta in poco tempo, votino per eleggere un nuovo Parlamento, mentre Trump non è stato rieletto per un secondo mandato. Entrambi, in questi giorni, devono affrontare dei procedimenti giudiziari che potrebbero decidere il loro futuro politico.


Questo lunedì, Benjamin Netanyahu era in un tribunale di Gerusalemme per rispondere delle accuse di corruzione, peraltro da lui negate, nei tre diversi casi giudiziari  in cui è implicato. Sta affrontando, da premier, un processo per aver violato tre volte la legge in cambio di favori, la cui finalità ea proprio quella di permettergli di mantenere l'incarico di primo ministro.

Secondo la legge israeliana, un premier accusato di un crimine non è tenuto a dimettersi. Un ex primo ministro, Ehud Olmert, si dimise dalla carica di leader del partito quando fu indagato per corruzione nel 2008, anche rimase primo ministro fino alle elezioni dell'anno successivo.

Una situazione paradossale, quella di Netanyahu, sottolineata dalle centinaia di manifestanti che lunedì lo hanno accolto  rumorosamente fuori dal tribunale distrettuale di Gerusalemme, con grida cartelli e  striscioni, invitandolo a lasciare l'incarico.


Una situazione paradossale anche quella di Trump simbolicamente sul banco degli imputati (ha, infatti, già fatto sapere che non si presenterà) davanti al Senato degli Stati Uniti per la seconda procedura di impeachment promossa nei suoi confronti.

L'ex-presidente Usa è accusato di istigazione all'insurrezione per avere, il 6 gennaio scorso, esortato i suoi sostenitori a dare l'assalto al Campidoglio, mentre il Congresso era riunito per la ratifica  del risultato del voto  delle elezioni presidenziali del 3 novembre.

Secondo quanto i deputati dem hanno già sentenziato, Trump è responsabile di aver favorito la rivolta cha ha portato all'occupazione del Campidoglio, causando anche  la morte di alcune persone. A seguito di ciò la Camera dei Rappresentanti ha chiesto che Trump non possa ricandidarsi a future elezioni.

L'iter processuale inizierà martedì 9 febbraio con un dibattito di quattro ore, cui seguirà il voto sull'incostituzionalità o meno del procedimento. Ma visto che i democratici - con il voto della vicepresidente Harris - hanno la maggioranza nell'Aula, non ci saranno sorprese sul fatto che la procedura di impeachement proseguirà, entrando nel vivo a partire da mercoledì pomeriggio, con entrambe le parti (pro e contro Trump) che disporranno di 16 ore ciascuna per illustrare il caso.

Tuttavia, non bisogna dimenticare che il Senato potrà condannare Trump solo se ci sarà una maggioranza favorevole di due terzi dell'Aula, il che significa che 17 repubblicani dovranno unirsi al voto dei 50 democratici. Al momento, però, non sembra un obiettivo raggiungibile. Il timore del partito repubblicano è che l'ex-presidente dia seguito alla minaccia di fondare un suo partito in caso di condanna.