Comunemente, si dice e si ripete che i Romani non seppero raggiungere in nessun campo dello scibile e dell'arte le vette dell'Ellade. Secondo alcuni furono inferiori anche agli Etruschi, in quanto popolo dedito solamente a conquiste e razzie. E quando si parla di filosofia ben scarno è l'elenco degli autori romani studiati e presi in considerazione. Si afferma solitamente che il pensiero filosofico romano è eclettico o sincretistico, sottolineandone la scarsa originalità nei confronti di quello greco. Ma su tutto questo occorre distinguere tra cosa e cosa.
Quando noi diciamo che i Romani furono un popolo di conquistatori dedito a far bottino ed arricchirsi con le prede belliche, noi diciamo la verità. D' altronde, il popolo romano si sentiva investito della missione di civilizzare il mondo e pacificare la barbarie. Quando invece diciamo che i Romani sono stati ottusi ed incapaci di elaborare una filosofia loro propria, diciamo una falsità.
Nei manuali di storia della filosofia, noi troviamo i soliti nomi di Lucrezio, Cicerone, Seneca e Marco Aurelio. Più oltre non si va. Al limite si ricorda la setta platonica di Quinto Sestio, e il filosofo e naturalista Papirio Fabiano, che scrisse molti libri di cose naturali, mentre il filosofo Severino Boezio è considerato più come facente parte del primo Medioevo. Il diritto sarebbe sì una creazione originale del genio latino, ma non certo non inquadrabile nell'ambito filosofico.
Certo, se noi pensiamo ai poteri del pater familias, o al regime giuridico della schiavitù, o a qualsiasi altro argomento attinente negozi o transazioni commerciali o il diritto successorio, tanto per fare qualche esempio, noi ci troviamo di fronte a citazioni e detti giuridici spesso aridi e tediosi. A mia opinione, la vera filosofia romana si può enucleare dalla antichissima cultura popolare che i Romani seppero elaborare. Basta allineare e studiare i reciproci rapporti tra termini quali Dei, natura, ius e fas. Il mos è invece un insieme di modelli comportamentali, in età risalente attinente la sfera delle cerimonie sacre degli dei immortali. (mos maiorum). Quintiliano lo ricomprende nel ius insieme alla lex, e a noi sta bene così.
I quattro termini, pur avendo una loro specificità, si ricompongono in una sintesi potente e suggestiva, come ho cercato di dimostrare nelle precedenti notizie. Gli Dei sarebbero le qualità intrinseche od essenze ( non parliamo di idee sennò rischiamo di impelagarci nel platonismo) sia dei fenomeni naturali sia degli degli stessi esseri umani.
Il fas è la norma cosmica in sé immutabile e perfetta che fa da fondamento al ius, nel quale, secondo quanto diceva il grande giurista Giuseppe Carle, vissuto tra Ottocento e Novecento, è facilmente ravvisabile l'uomo stesso. Il fas si lega agli Dei, perché è la parola di Giove, e trova luogo nelle grandi Triadi di Roma arcaica, dove gli Dei vengono rappresentati secondo la loro funzione. A mio modesto avviso, dunque, bisognerebbe riscrivere l'intera storia del pensiero umano, e lasciare lo spazio che merita alla visione romana del mondo, elaborata da tempo immemorabile e anonimamente, da intere generazioni.
Se poi ammettiamo, cosa non facile da dimostrare, né scontata, che il fas è simboleggiato dal Tricolore italiano, allora si potrebbe parlare di filosofia romano-italiana. Così il cliché del Romano pratico e privo di fantasia, verrebbe a cadere, lasciando il posto ad una straordinaria filosofia civica collegata ai principi cosmico-naturali.