Un posto al sole, Smith e Murphy
La celebrità: un traguardo spesso ambito, oggi sempre meno realizzabile. Sembrava che la rete dovesse amplificare le probabilità di mettersi in mostra, ma ha miniaturizzato i ruoli, eliminando il luccichio della figura salvifica del divo, allineando tutti in un termitaio di idee spesso rubate, virali, fakkate, già spente prima di aver veramente bruciato. Non che finzioni e plagi non esistessero anche prima, tutti copiano tutti, s’intende, ma c’era più senso della distanza: la confidenza toglie la riverenza e anche un divino, se sta troppo tra i piedi, cessa di illuminare la speranza, di riscaldare il cuore.
Orbene, dopo questa tirata decadentista, vorremmo rallegrarci, ma non è possibile. La nostra prima rappresentazione dello star system è stata una figura tra le più tragiche passate nella storia dello spettacolo: vero simbolo, sì, ma di un sottobosco che può emergere solo autodivorandosi.
Anna Nicole Smith, vero nome Vickie Lynn Hogan, nata in Texas, a giorni avrebbe compiuto 53 anni. Wiki, con la sua consueta grazia, la definisce attrice e modella. Tutti hanno diritto a una configurazione, casomai attivista o criminale, ma un’etichetta non deve mancare; sui giornali veniva chiamata playmate, un termine elegantissimo, che spesso adombra una escort passata per locali di infimo ordine e approdata fortunosamente sui letti ad acqua di qualche boss del porno hard prima, e di quello soft patinato poi. Nel paesino natale di Mexia papà ovviamente s’era dato da un pezzo, mamma faceva la poliziotta e non sarà tenera nei suoi commenti futuri sulla figlia; più benevole appaiono zie e cugine, con cui Vickie in fondo era cresciuta, che la definiscono pronta ad aiutare i parenti meno fortunati.
Dopo un classico incipit da matrimonio riparatore adolescenziale, la nascita di un figlio e il divorzio, l’esuberante giovane, ora corredata di bambino molto amato e che tiene con sé il più possibile, ne ha però abbastanza delle spianate di grano e petrolio: tra uno spogliarello e l’altro, ormai adocchiata già da Playboy, viene notata dall’anziano miliardario James Howard Marshall II, che la sposa nel 1994.
Nel biopic a lei dedicato il vegliardo, interpretato da Martin Landau, è dipinto come l’ innamorato devoto di una ingrata lolita; ma non si poteva nemmen pensare, a onta dei proclami di lei sul desiderio di dare un figlio all’ultranovantenne coniuge, che l’unione, durata fino alla morte di lui l’anno dopo, fosse qualcosa di più di un dispetto del vecchio al figlio E. Pierce Marshall. Questi avvierà contro la neo vedova una causa per l’eredità, senza esclusione di colpi, di fatto mai conclusa.
Non c’è dubbio che Anna Nicole fosse riuscita a guadagnarsi la sua brava nicchia di celebrità. In lotta con la bilancia, soffrì sempre per la manutenzione dei grossi seni finti e si immagina quante sostanze dovesse assumere per tenere a bada l’universo folle che aveva creato, fatto di stucchevoli tentativi di “marilyneggiare”, qualche apparizione al cinema ( “Una pallottola spuntata 33 1/3) e un reality sulla propria vita, di quelli che andavano in onda nei primi anni duemila, uno più insulso dell’altro: infatti il suo fu cancellato presto.
L’unica consolazione di Anne era il bellissimo figlio Daniel, che viveva quasi sempre con lei. Succede che nel 2006, quando ormai la carriera della ragazza era praticamente terminata, lei resta incinta, senza dire di chi (si farà addirittura il nome di un politico delle Bahamas) e nasce una bella bimba; il fratello Daniel, arrivato a Nassau, fa appena in tempo a scattarsi qualche foto con mamma e sorellina in ospedale, poi muore di overdose.
E’ un colpo durissimo per la Smith, che chiamerà la figlia Dannielyn, in ricordo del fratello scomparso, ma vive reclusa in una camera d’albergo, salvo il finto matrimonio con l’avvocato Howard K. Stern, suo compagno teoricamente ufficiale. Circondata da assistenti e governanti e qualcuno che badi alla neonata, quasi sempre a letto stordita, la starlette crolla l’8 febbraio 2007, a Miami.
La cennata lotta per la successione a quel punto è passata di ring. Prima si dovette stabilire di chi fosse la bambina, e vinse il bel fotografo Larry Birkhead; in seguito si suppone che, per tutelare la ragazzina, i legali abbiano continuato in qualche modo a perseguire i suoi diritti ereditari, anche se ovviamente, morta la celebrità, l’interesse si è parecchio smorzato. E’ una vicenda triste, sulle molle e le spinte verso qualcosa che costa molto più di quanto non dia.
Passiamo ora a una promessa quasi realizzata in pieno, Brittany Murphy, nata nel 1977 ad Atlanta, poi on the road con la solita famiglia spaccata, fino ad approdare in California, con precoci attività nel campo della recitazione e della musica. La neo stella era in piena espansione – ricordiamo “I marciapiedi di New York” “8 Mile”, “Oggi sposi niente sesso” - quando, d’emblée, veniamo a sapere che è morta in casa, nel 2009; seguita, pochi mesi dopo, dal marito Simon Monjack, trovato dalla già suocera, sempre nell’abitazione di Los Angeles, dove era rimasto solo.
Premesso che la diacronia è rinvenibile mediante le fonti giuste, ricordiamo che per un certo tempo si parlò di overdose di farmaci anoressanti, una modalità con un solo precedente ufficiale dichiarato: quando scomparve Karen Carpenter, singer dell’omonimo gruppo, voce incantevole, magrezza in effetti spaventosa, che si spense nel 1983, poco più che trentenne.
Dopo qualche anno alcuni servizi iniziarono a veicolare, su Brittany, un’altra versione: l’appartamento della coppia era infestato da una sostanza particolare, qualcosa tra il radon e la muffa, che avrebbe intossicato entrambi. La casa fu abbattuta. Va detto che sia il padre dell’attrice che il coniuge apparivano personaggi davvero particolari, un poco inquietanti. A oggi si tiene fermo l' avvelenamento, ma i familiari insistono a parlare di omicidio.