Abbiamo trattato il caso di Chico Forti, oltre che in un precedente articolo,  con una trasmissione.

https://youtu.be/CXRbJl378Fo

La sua storia ci ha riportato alla memoria un podcast che risulta tra i più scaricati degli ultimi dieci anni, nell’ambito del programma “Serial” di Sarah Koenig, nel 2014, e richiama vagamente la vicenda dell’italiano, svoltasi circa negli stessi periodi; entrambi sono in carcere dal 1999.

Adnan Syed è un ragazzo circa ventenne, vive nella più famosa città del Maryland, ed è perfettamente integrato nella società del posto, anche se le sue origini pakistane non possono non influenzare il suo modus vivendi. Studioso e sportivo, frequenta la comunità giovanile della locale moschea, ma non disdegna di ritagliarsi spazi con coetanei di altra cultura, per bere e farsi canne, ovviamente al riparo dalle ire familiari.

 Tra le cose che ritiene di poter fare, c’è il fidanzamento con una studentessa d’origine coreana, Hae Min Lee. Se la famiglia di lei è perplessa per la fede musulmana del moroso, quella di lui viene descritta come minimo accigliata per l’intimità che si crea tra i due che, secondo le cronache, non verrebbe ammessa nemmeno in una società progressista dove ci si trova a vivere.

Per questi motivi, o altro ancora, la relazione viene interrotta dalla ragazza, che ne intraprende presto un’altra.

Adnan come la prende? A detta di chi lo ha conosciuto allora, non così male: rammaricato, triste, ma rassegnato e sempre augurando ogni bene alla sua ex; la quale, però, un giorno viene trovata uccisa e sepolta sotto la terra di un boschetto vicino.

Manco a dirlo, i sospetti si appuntano sul giovane, che verrà condannato all’ergastolo. L’opinione pubblica però non è convinta, fors’anche perché siamo a prima dell’11 settembre 2001 e non si è ancora scatenata l’islamofobia: un fenomeno che non vogliamo enfatizzare, soprattutto perché proprio questa vicenda dimostra che gli eventi di quel giorno non influenzeranno la fazione innocentista, che ancora si batte per il condannato.

Nella prima udienza, per la libertà su cauzione, una scatenata procura dichiara che esisterebbe “uno schema di pakistani lasciati da americane, che le hanno per questo uccise, dandosi poi alla fuga”: i difensori fanno notare che una casistica del genere è inesistente.

I Syed si rivolgono a una quotata avvocatessa, Cristina Gutierrez, che cerca di brasare il testimone chiave, un afroamericano con un nome che purtroppo non siamo riusciti  identificare con precisione e chiameremo Jay Wilds. E’ lui che inchioda quello che fino a prima del delitto era un suo grande amico.

 Afferma Jay che quella mattina Adnan, infuriato per l’abbandono, gli comunica che è intenzionato a far fuori la fedifraga, ottenendone la complicità; prende l’auto, in qualche modo attira la malcapitata e fa quello che aveva annunciato con enfasi sottolineata. Nel frattempo  egli aveva lasciato il proprio cellulare nelle mani di Jay, per metterlo in condizione di ricevere la chiamata concordata e dargli appuntamento nel posto dove giaceva il cadavere. 

L’amicone accorre, trova il corpo nel bagagliaio: è sbalestrato, ma accetta di aiutare l’assassino a seppellire la vittima.

Durante le “indagini” si sarebbe trovato anche un foglio vergato dalla povera Hae, ma con un’aggiunta del fidanzato che recita: “La ucciderò”. Tutto chiaro? Non diremmo proprio.

Innanzitutto, Wilds cambierà versione più volte sul come, dove e quando avrebbero combinato il tutto; il cellulare (allora non così diffuso come oggi e men che meno nella provincia americana) ha mandato segnali da un ripetitore nei pressi del bosco, ma ricordiamoci che fino a un certo punto era in mano a Jay, e registra comunque due chiamate in entrata che, per legge, sarebbero inutilizzabili, dovendo, almeno per la tecnologia di allora, fare testo solo quelle in uscita; un’amica di Adnan, Asia McClain, si fa avanti, dicendo che il ragazzo era a scuola, di averlo visto nelle ore in cui teoricamente sarebbe stato intento a uccidere, è pronta a dichiararlo: ma la Gutierrez non la chiama a testimoniare.

Negli anni emergerà, anche a detta del figlio, che l’avvocatessa accusava gravi problemi di salute, diabete e sclerosi multipla, che avrebbero sconsigliato di continuare la professione e la rendevano meno lucida. La stessa Corte d’appello speciale del Maryland ha ammesso che l’imputato ha ricevuto una inadeguata assistenza legale.

Infine, nel novembre 2019, la Corte Suprema federale ha rifiutato la rivisitazione del processo.

 Gli attivisti che si battono per la causa hanno promesso di non arrendersi. Noi invece ci chiediamo: che fine ha fatto Jay? E’ stato giudicato per il ruolo avuto nel crimine? Si è mai indagato su di lui, che sostanzialmente potrebbe aver avuto modo e movente quanto l’altro (spasimante respinto?) ed era in ogni caso negli stessi luoghi dove si trovava Syed, per sua stessa ammissione? O invece, come capita a tanti supertestimoni, ha fatto un bell’accordo e tanti saluti?

Possibile che Adnan, descritto come giovane intelligente e con un futuro davanti,  avesse voluto lasciare tracce scritte e orali della sua intenzione omicida, come il più idiota degli uomini?

Gli inquirenti non hanno mai rilasciato dichiarazioni.