Il solo accenno al noir in ambito chiesastico alza la pressione e induce alla morbosa curiosità, dunque occorre andarci piano e tenere la ridotta. In molti casi si tratta dei cosiddetti “ preti di frontiera”, eliminati per il loro impegno nel sociale; talvolta si è cercato di ravanare nella vita intima delle vittime, alla ricerca di scabrosi risvolti su cui, in genere, scatta una copertura difficilmente scalfibile. Talora l’impegno verso persone ai margini non ha prodotto riconoscenza.

L’anticlericalismo di maniera non ci appartiene e non affronteremo in questa sede eventi come la “strage in Vaticano” del 1998, sulla quale ci effondiamo nel nostro libro “Complottista io?” (Carmen Gueye, Eidon edizioni, e-book).

Pertanto esporremo due delitti dai contorni  imperscrutabili, uno  “civile”, irrisolto, l’altro con procedimento in itinere.

Siamo nel 1995, in una Firenze ancora avvolta dall’atmosfera pecoreccia e temporalesca dei processi sul Mostro di Firenze. In un negozio di articoli religiosi, sito in un edificio di proprietà curiale, tra ceri e crocifissi, lavora a tempo perso Gianfranco Cuccuini, sessantacinquenne pensionato che arrotonda sostituendo la titolare, un paio di volte alla settimana, ma non il venerdì: quindi quel 24 marzo non avrebbe dovuto trovarsi lì. Invece poco dopo le otto di mattina i commercianti del posto lo notano mentre spazza il marciapiede antistante e, stranamente, non risponde ai saluti. Qualcuno dirà di averlo visto in compagnia di una persona dai capelli lunghi, vestita modestamente, che dava le spalle, quindi dalla incerta identità sessuale. Alle 8.45 è tutto finito: il corpo massacrato da 27/28  colpi di  arma da taglio viene scoperto da un sacerdote entrato a prendere ostie.

Il raffinato commesso, dedito alla frequentazione di mostre, concerti e la pratica dello sci, per il resto sembrava tutto casa e bottega, ma si è sussurrato di strani giri che nessuno conosceva. Firenze è città che fornisce, ahimé, molti spunti alla cronaca nera, ma, a differenza per esempio del caso Gianni Coli/ Bruna Boldi, (parrucchiere gay e madre massacrati nel proprio appartamento nel 2010), qui percorrere la pista delle amicizie particolari risulterà infruttuoso; d’altronde anche per il coiffeur non si è ancora venuti a capo di nulla, anche se sono sulla bocca di tutti i nomi di alcuni vip gigliati e ammogliati che si sarebbero concessi divagazioni col bel Gianni.

Resta il fatto che Cuccuini si trovava in pieno centro, proprio a coté di un cantiere che stava risistemando delle strutture accanto, con andirivieni di operai.

Per mero dovere di esposizione, ricordiamo che spesso, e proprio nel caso del capoluogo fiorentino, troppo ghiotto per  i commentatori, si è parlato di scenari satanisti, e di messaggi trasversali da inviarsi, via delitto, tra coinvolti compagni di deboscia.

La seconda vicenda sgomenta in modo particolare perché si tratta, almeno presuntivamente,  di omicidio tra ecclesiastici, pure di una certa età.

Siamo alla casa del clero di Trieste in un giorno di festa, il 25 aprile 2014, ma l’anziano ( 92 anni) don Giuseppe Rocco decede: l’età, si pensa. L’estrema unzione gli viene impartita da don Paolo Piccoli, 53 anni mal portati, forse a causa del suo debole per l’alcol, che egli stesso ammette, dichiarandolo però superato. Tutto finito? Per nulla: la perpetua, Elena Laura Di Bitonto,  non ci sta e viene fuori che Rocco è stato ucciso (qualcuno scrive soffocato, chi parla di strangolamento). Si analizzano alcune macchie di sangue presenti sui lenzuoli: sono di Piccoli, il quale rivendica una sua ben nota affezione cutanea, che da sempre gli provoca piccole emorragie. E’ sparita una catenina della vittima, che viene vista al collo di questo e quello: un ben misero bottino.

Niente da fare: circa un anno fa arriva la condanna a ventun anni e sei mesi, che il pingue prete incassa con cristiana rassegnazione e fiducia nella giustizia divina, in attesa dell’appello e ricordando alcuni attriti con la governante del morto e sua accusatrice, a causa del chiasso dei cani. Movente? Qualche monile o soprammobile di scarso valore. L’eredità di don Giuseppe? Ai nipoti e a Elena Laura. Aspettiamo il seguito.