Chi, dal proprio Paese di origine, è costretto, per ragioni politiche, economiche o di qualsiasi altra natura, a spostarsi in altri, sono convinto che è questo il grido che gli esce dal profondo della suo essere quando si trova di fronte una Nazione con dei valori, con una cultura e delle radici diverse dalle proprie alle quali, giocoforza, è costretto ad assimilare; anche se, in qualche modo,contrastano con quelle che si porta con se.

Ancora più dura, per lui,è quando la cultura e le radici del suo Paese sono sostanzialmente molto diverse!

Certo, non sono momenti felici per chi è costretto ad emigrare ma, comunque sia, se vuole convivere in quel Paese che si è scelto, deve far buon viso a cattiva sorte.

D'altro canto chi accoglie, deve in ogni modo agevolare la così detta "integrazione".

Ma, come da sempre si è compreso, questa integrazione non può essere imposta: l'integrazione è una decisione che deve essere accettata da coloro a cui viene proposta e, guai se non fosse così, ha delle regole da rispettare da entrambi le parti; tanto da chi offre, quanto a chi è offerta.

A chi offre è d'obbligo di trovare delle condizioni generali accettabili per agevolare e rendere fattibile l'integrazione mentre a coloro che viene offerta è fatto obbligo di accettare le regole e le radici del Paese al quale hanno deciso di affidarsi. Se una cultura fosse annullata perché l'altra la sovrasta, sarebbe un completo fallimento da ambo le parti.

Noi di "Perugia: Social City" abbiamo letto con interesse ed attenzione la lettera aperta, riguardo a l'integrazione qui a Perugia, inviata al sindaco ed a l'assessore Varasano e, seppur contenga certe verità innegabili, abbiamo notato che in definitiva, è specchio di un certo indirizzo che ci sembra troppo di ideologia politica di parte, piuttosto che un sacrosanto principio di convivenza sociale.