Non si scrive tanto per scrivere. Non deve interessare la quantità né la caccia alle pagliuzze nell'occhio altrui per trovare il pretesto e attaccare l’avversario o la situazione antipatica. E quando arriva il momento occorre comunque essere misurati, educati, assertivi, prospettare i fatti con qualità e controllo, per fare del bene all’onestà e alla verità della propria riflessione. Perché scrivere e parlare è una grande responsabilità, e ancora più grande quando qualcuno ci legge o ascolta sul serio.

C’è un momento in cui certi fatti non permettono la necessaria pacatezza dialettica. Prevale la rabbia. E io oggi sono alquanto arrabbiato, lo ammetto. Del resto anche il Dalai Lama, insieme al compianto attivista e vescovo anglicano Desmond Tutu, due grandi leader morali e premi nobel per la pace, ammisero che in certi contesti la rabbia può aumentare l’energia che serve a difesa delle situazioni peggiori. E siamo in una di quelle situazioni peggiori. Serve canalizzare la collera controllata e ragionata di tutti!

Ricordava il leggendario Quartetto Cetra, con la canzone sulla favola dei tre porcellini: «Chi ha paura del lupo cattivo?», che il povero lupo ci provava sempre. Ma loro - i tre porcellini - lo avvistavano e correvano subito dentro casa, e ben più lesti gli rifilavano un sonoro “marameo!” dal balconcino.

A quanto pare gli italiani sarebbero diventati come Timmy, Tommy e Gimmy, i tre porcellini, appunto. Ma non sappiamo ancora se abbiano o meno paura del lupo. O forse lo sappiamo. Fatto sta che nessuno sembra lamentarsi seriamente di questo diverso genere di lupo che, non passa giorno, apre bocca e offende o minaccia qualcuno. E quando dico “seriamente” non mi riferisco all’eco che imperversa lieve per i social dell’italiano medio, o nella retorica melense di media e influencer. Ma appunto a queste modalità “soft” di contestare l'obbrobrio senza mai pronunciare un rigoroso, compatto e persuasivo  “marameo!”.

In poco più di 100 giorni abbiamo una leader che è partita a governare colpevolizzando, offendendo e ingiuriando a più non posso i poveri, e nella fattispecie i fannulloni del reddito di cittadinanza, ai quali toglieva anche il sussidio semplicemente perché occupabili. Distruggendo tutti i principi della maltrattata Costituzione e del resto dei paesi europei. Comunque in linea con le sue inammissibili contumelie pre elettorali (si ricordi il “metadone di Stato”). Per contro ha elargito regalie a chi già aveva e a chi possiede il non raro DNA dell’evasore.

A metterci il carico a briscola arrivava il viceministro del lavoro che per sua parte oltraggiava i sacrifici dei laureati e tutto il sistema dell’istruzione, con la famosa frase: “il laureato vada a fare il cameriere”.

Poi arriva un ministro della giustizia che è forse l’unico a non usare termini oltraggiosi, ma prova comunque a vituperare altri aspetti costituzionali insieme all’idea di depenalizzare o edulcorare un mare di reati da colletti bianchi. E per non farsi mancare nulla “teorizza” che le intercettazioni non servono a nulla se non agli abusi nei confronti di galantuomini. E infatti, poco dopo, un “galantuomissimo” come Messina Denaro veniva arrestato proprio grazie alle intercettazioni. Pensa te.

A mantenere i toni stabilmente sul binario delle contumelie ci ha pensato comunque la seconda carica dello Stato, che nel tempo si è negato in incontri con vittime dello shoah (vd. Sami Modiano), ma partecipando di buon grado alle celebrazioni del 76esimo anniversario di fondazione del MSI; mentre a un giornalista che gliene chiedeva provocatoriamente conto replicava finemente: “metti quel che caxxo vuoi”. E dopo questa sberla arrivava quella del “se avessi un figlio gay sarebbe un dispiacere”, che faceva la patta con la successiva in serie “il livello estetico delle donne del centrodestra è diminuito”.

Peccatucci veniali; di semplice e rozza fattura. Decisamente più pregnanti, invece, le dichiarazioni che nel frattempo erano già passate in rassegna con le belle parole del ministro dell’umiliazione, il quale contro ogni scienza pedagogica sanciva il principio dell’umiliazione come sistema educativo. Ma vista l’indignazione collettiva correggeva il termine con un più docile “umiltà”, che però rendeva il suo concetto senza senso. Come dire: l’ho detto, ma mi arrampico sugli specchi e non chiedo scusa manco morto.

E non finisce qui. Sempre il nostro ministro dell’umiliazione o dell’umiltà (come meglio vi piace), decide di tacere sui pestaggi avvenuti in danno di alcuni studenti di un liceo di Firenze, ma prende subito la parola e minaccia la preside di un altro liceo fiorentino solo perché quest’ultima, nel pieno svolgimento delle sue funzioni educative, scriveva una bellissima e condivisibile lettera agli studenti. Rea, evidentemente, di aver posto l’accento sui pericoli di metodi squadristi di derivazione fascista.

Infine la goccia che fa traboccare il vaso: le dichiarazioni del ministro dell’interno dopo la strage di vite determinata dal naufragio di Cutro.

Prima si permette di affermare che la disperazione non giustifica i viaggi pericolosi”, e poi, facendo perfino la voce grossa, minaccia di “interessare l’avvocatura dello Stato” contro chi sta ipotizzando - e in queste ore le ipotesi sembrano aumentare - immobilità e intempestività nel soccorrere il barcone in difficoltà che era stato avvistato e segnalato da ore. Per la serie: è come dico io; non accetto critiche; io sono io e voi non siete un c…; vi faccio inquisire. E amenità simili.

Già prima di questa tragedia aveva usato parole inaccettabili per descrivere il dramma dei migranti. Parole come “carico residuale” e “vocazione alle partenze”, e perché no, magari anche una vocazione al turismo di questo carico residuale ci poteva anche stare.

Questo signore non sa cos’è la disperazione. Buon per lui. Ma non può fare il ministro, perché non capisce e non sa gestire la delicata questione dei migranti disposti a rischiare la vita e perderla. Oltre sessanta persone annegate, tra cui tredici bambini. Questo il bilancio provvisorio di persone morte che il ministro ritiene “folli”, addirittura “maleducati”, perché infatti egli afferma: “di essere stato educato alla responsabilità di non chiedere ma domandarsi cosa si possa fare per il proprio Paese”. Bravo! Lui che è nato in Italia, magari al calduccio di una buona famiglia, e che non ha la minima idea di chi appende i propri figli al carrello di un aeroplano in fase di decollo pur di sottrarli ai talebani del proprio paese. Guarda caso, questa tragedia nei pressi di Crotone riguarda in massima parte persone disperate che fuggivano dall’Afghanistan.

Sono andato a memoria. Magari qualcosa l’ho dimenticata, ma è già più che sufficiente per dire che tutto ciò è inammissibile, inaccettabile!

I rappresentanti del governo devono dare il buon esempio. Adoperare toni consoni, centellinare le parole, scegliendole accuratamente e confezionando dichiarazioni che suscitino sentimenti di unione, e non la costante divisione che si sta vivendo in questi cento giorni di polemiche e, addirittura, una plebiscitaria presa di distanza che si verifica ormai puntualmente anche presso chi questo governo lo ha votato e lo sostiene.

Esiste davvero il pericolo di un rigurgito ideologico, o sono solo incapaci che fanno dichiarazioni senza riflettere, tentando, poi, di correre inutilmente ai ripari? E ripari che non sono mai un’ammissione di colpa, delle scuse sincere, ma un ulteriore e arrogante «Voi non avete capito!».

Che sia una questione ideologica di una certa e denegata epoca (cosa grave), o che sia una questione di pura e semplice incapacità nel ruolo (altrettanto grave), non mi pare che esista un rimedio diverso se non quello di dimettersi. Lasciare spazio a chi riesce a obbligarsi al rispetto di tutti gli italiani (e non solo a qualche proprio elettore estremista) e dunque al rispetto del ruolo che si ricopre.

Abbiamo paura a chiederlo con più vigore? A gridarlo in tutti i nostri profili social? Ed egual domanda va rivolta a quegli influencer mediatici o di altro genere che adoperano manfrine satiriche, piccoli rimbrotti, retorica melense, ma non si permettono di usare questo termine: DIMETTETEVI!

Se c’è questo timore a prendere una posizione più netta e inequivocabile allora non siamo nemmeno degni di Timmy, Tommy e Gimmy, i nostri tre porcellini che facevano “marameo!” al lupo cattivo. E così il marameo ce lo becchiamo noi.

Basta!