Nicola Zingaretti si è largamente affermato alle primarie del Partito Democratico, diventandone così il nuovo segretario senza bisogno degli ulteriori passaggi burocratici indicati dall'attuale statuto, per un motivo molto semplice: non è un renziano, ed elettori ed iscritti al Pd lo hanno premiato proprio per questo motivo.

Chiamati a scegliere tra l'ortodosso Giachetti, espressione del fanatismo renziano, ed il più moderato Martina, sempre ascrivibile tra le truppe gestite dal "giglio magico", iscritti e simpatizzanti Pd non hanno avuto dubbi nel pretendere che il partito venisse guidato da una persona realmente di sinistra, da uno che aveva iniziato il proprio percorso politico fin dalla Fgci, la Federazione Giovanile Comunista Italiana.

Adesso, però, per Zingaretti si tratta di passare dal "sentiment" ai fatti.

Gli oppositori del Partito Democratico si sono "avventurati" in brogli e truffe per commentare il voto delle primarie. Una inutile perdita di tempo. Zingaretti era il vincitore naturale per un partito che non voleva più essere ostaggio di Renzi. E così è stato.

Ma adesso il neo-segretario si trova a dover dare forma a ciò che la sinistra si aspetta, cercando di cambiare completamente il Pd senza però gettare dalla finestra ciò che aveva trasformato quel partito in una sorta di fotocopia di Forza Italia.

Nominando Luigi Zanda alla carica di tesoriere, Zingaretti dà l'impressione di aver adottato la strada del promoveatur ut amoveatur, dando l'impressione di non emarginare gli ex Dc, ma escludendoli di fatto dai ruoli decisionali relativi all'indirizzo politico.

Inoltre, il nuovo segretario Pd dovrà fare i conti con i renziani che in pratica costituiscono i gruppi parlamentari di Camera e Senato. Ma in quel caso, il compito di Zingaretti non dovrebbe essere complesso. Infatti, i parlamentari sanno benissimo che le candidature passano dalla segreteria, quindi quasi tutti i renziani di ieri saranno già in procinto di diventare gli zingarettiani di domani.

Il nodo di fondo, ciò che si aspettano coloro che hanno eletto Zingaretti, è che lui abbandoni la cosiddetta vocazione maggioritaria di veltroniana memoria, che tanti disastri ha causato al Pd e al Paese: per un partito che vuole rappresentare gli operai, non è possibile rappresentare anche i padroni... o almeno metterli allo stesso livello.

La vocazione maggioritaria fatta propria anche da Renzi aveva finito per far diventare il Pd, partito indicato come socialista, una forza politica che faceva ciò che Confindustria dettava, mentre allo stesso tempo si negava a qualsiasi dialogo con i sindacati. Una follia per un partito che pretende di definirsi di sinistra.

Zingaretti ha ben presente il problema, ma tutto sta nel vedere se riuscirà effettivamente ad invertire la rotta rispetto al passato. Dalle prime dichiarazioni, parrebbe di sì, anche se le parole non sono fatti.

«Noi oggi – ha spiegato Zingaretti durante la presentazione alla Sapienza del pacchetto di misure regionali sul lavoro per il biennio 2019/2020 - siamo in una università a parlare dell’unica cosa importante in questo momento in questo Paese, che è la necessità e l’urgenza di creare lavoro e riaccendere l’economia nel Mezzogiorno, nel Centro e nel Sud Italia. Le ricette in campo non sono solamente sbagliate... è che non ci sono proprio e questo è molto grave.

Su materie come queste, bisogna avere il protagonismo delle forze sindacali e il coraggio dell’ascolto e queste cose non si fanno con i tweet, credo nella forza nel confronto».

Infine, l'altro nodo su cui Zingaretti verrà giudicato sono le europee: programmi, liste, alleanze... Anche in base a quell'appuntamento, nonostante lo scarsissimo tempo a disposizione per prepararlo adeguatamente, si potrà avere un'idea se il Pd sarà realmente in grado di cambiare, diventando, finalmente, un partito che possa davvero fare da guida alle tante anima della sinistra... e non a quelle del centrodestra!