"Ho fatto terapia per molti anni. Apparteniamo a una generazione con quei genitori che ti dicono che non devi piangere, che non puoi rilassarti o esprimere emozioni. Come se non mostrando debolezza cresci con una corazza che ti fa pensare di essere più forte di tutti.
Ci sono persone molto forti ma alla fine finiscono per cadere. Tu non sei un supereroe, quello che può fare tutto, aiutare la famiglia, segnare ogni domenica… Ma a volte non ascoltiamo noi stessi. Perché sta succedendo a me?
Ci sono professionisti per questo.

La mia teoria è che tutti abbiamo bisogno di tutti, la vita è una ruota. È un falso combattere per essere sempre il migliore.
La prima volta che sono andato in terapia fu dopo la rimonta del Barcellona contro il Psg. Mi ha colpito molto, sono cose che ti travolgono. In cinque minuti tutto quello che stavamo facendo era cambiato. È un duro colpo che non puoi controllare, e nonostante si parli di calcio poi tocca altre parti della tua persona con sintomi di ansia, sudore freddo, mi vennero le vertigini quando dovevo dormire, avevo paura di addormentarmi… Mi resi conto che non ero un supereroe.

Dove sta andando questo calcio? Si sta perdendo con tutta la tecnologia, i social network. Stiamo formando giocatori di calcio che sembra debbano somigliare di più ai profili PlayStation.

Ho sentito colleghi dire che non sanno se gli piace il calcio. Forse a loro piace di più stare su Instagram, giocare ai videogiochi”.

Edinson Cavani
Fonte: Relevo