Il prossimo 15 febbraio, la Corte Costituzionale dovrà decidere se ritenere ammissibile il referendum sull’eutanasia legale, promosso dall’Associazione Luca Coscioni insieme ad altre realtà associative.
Il silenzio di gran parte della politica è assordante. Interessante notare come nel discorso di insediamento del Presidente Mattarella, la parola più utilizzata sia stata “dignità”. E come essa sia stata subito riposta nel dimenticatoio. Forse gran parte dei parlamentari erano troppo impegnati a spellarsi le mani con 55 applausi durante il discorso del Presidente, per capirne il contenuto.
Ma partiamo da questa parola. La dignità. Dal mio punto di vista la sofferenza quando tocca limiti insopportabili per chi la vive sulla sua pelle fin dentro quasi a toccare l’anima, svilisce, annulla, annienta, annichilisce, distrugge, ogni forma anche minima di dignità umana. “Il dolore è spesso inutile, come è insensata la guerra”.
Non si tratta, come è stato detto, di “eugenetica”, di selezionare le persone utili al sistema da chi è uno scarto, una zavorra per una società che invece deve essere bella, giovane, forte, sana, credendo che chi voglia introdurre il concetto di eutanasia legale sia un nazista, o che si voglia eliminare persone per far risparmiare soldi allo stato per le cure necessarie ed i posti letto. Eliminare chi è superfluo per la società. Sgravare il sistema pensionistico e sanitario. Tutte idiozie dette spesso in malafede.
Il nostro ordinamento, ad oggi, non permette l’eutanasia. Ma è ritenuto legale il lasciar morire, ovvero quando il paziente rifiuta le cure o rifiuta di assumere cibo e acqua. Cosa comporta ciò su un piano pratico? Basta leggere delle sofferenze subìte da Giovanni Nuvoli, ammalato di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e lasciatosi morire di fame e sete nel 2007.
Nuvoli era cosciente e decise che l’unica strada che aveva per uscire dalla prigione del corpo in cui l’unica cosa che viveva era la sua mente che soffriva in modo disumano, fosse quella di lasciarsi morire. Racconta la moglie Maddalena “venne il medico e scrisse nella cartella clinica che da quel giorno non gli si doveva più dare né cibo né acqua. Così, come fosse una cosa normale, come se non fosse un’atrocità inumana che si consumava sotto gli occhi dei medici benpensanti, dei giornalisti, della gente per cui Giovanni Nuvoli non era più un uomo ma un campo di battaglia. E nessuno di loro si indignò, nessuno di loro si scandalizzò… e lasciarono che un uomo che aveva già subìto tanto, un uomo che pesava venti chili e che la malattia aveva sfiancato, logorato, consumato, sopportasse altre sette giorni di calvario.”
Quindi nel nostro civilissimo ordinamento, è permesso il rifiuto delle cure, condannando la persona a soffrire ancora di più fin quando la morte non arriva da sé e ci vogliono anche giorni alle volte, con una enorme agonia, ma non è permesso di poter accelerare il processo tramite farmaci che possano immediatamente porre fine alle sofferenze.
Davvero è civile permettere tutto ciò? Davvero dobbiamo dare questa funzione escatologica collettiva della sofferenza umana che resta singola, intima? L’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Credo che possiamo riconoscere in taluni casi, che la morte non è il peggiore dei mali.
Lo hanno sempre saputo i suppliziati ed i carnefici, il potere (religioso o statale) che non si accontentava della morte ma esigeva la sofferenza, i sudditi e il bel mondo che a tali spettacoli non voleva rinunciare, da ogni Colosseo a ogni Place de Gréve. La lancinante agonia della crocifissione, supplizio per schiavi e nemici, arrivava a protrarsi per giorni, ma un soldato pietoso poteva abbreviarla spezzando le gambe al moribondo. Dobbiamo avere l’umiltà e l’apertura mentale per capire che non esistono termini totalizzanti, rischiamo di generalizzare e banalizzare termini intimi come sofferenza, dolore, vita. Bisogna calarli nella carne viva di chi queste cose le vive davvero.
Non siamo portatori di verità assolute. La questione è: esaudire la richiesta di eutanasia a chi ne ha diritto dopo aver tentato altre strade in primis le cure palliative, la famosa quanto mai applicata davvero, terapia del dolore, ed insieme un percorso di sostegno psicologico per il paziente ed i suoi cari. Quindi accogliere l’eutanasia nel nostro ordinamento non significa “uccidere persone”, indistintamente, senza appello, dopo una flebile richiesta da parte di chi soffre, ma significa fare un percorso serio che porti all’eutanasia come extrema ratio, legale e medicalmente assistita. Ma dignità significa riconoscere che nonostante gli enormi sforzi palliativi, di supporto psicologico, ci possa ancora essere la volontà del malato di scegliere di porre fine alla sofferenza. Ed accettare tale decisione. Dignità nel rispetto della volontà altrui ed evitare gli insopportabili accanimenti terapeutici così come gli accanimenti ideologici.
Come il grande oncologo Veronesi, anche io sono contrario all’eutanasia se l’eutanasia è un atto separato dalle cure. Essa deve esistere solo all’interno di un continuum costituito dalle cure somministrate ai malati terminali inguaribili, cure che vanno dal sollievo del dolore alla sedazione profonda continua. Credo che la richiesta di eutanasia sia una scelta. Forse una scelta rara, ma anche se dovesse riguardare una piccola porzione di malati nel nostro paese, esiste. Non bisogna ricorrere alla clandestinità come oggi si fa, inutile che ci bendiamo gli occhi, l’eutanasia esiste anche ora, è sempre esistita nel corso dei secoli. Renderla legale è un atto di civiltà, non è accettabile che il malato debba sentirsi anche come un bandito perché chiede di mettere fine alle sue sofferenze. Bisogna poi destinare somme economiche importanti e professionalità per organizzare davvero gli ospedali senza dolore, in Italia non abbiamo ancora una vera cultura delle cure palliative. Bisogna cambiare passo anche su questo.
Ma eutanasia e cure palliative non sono due strade alternative, bisogna poter avere la possibilità ed il diritto di accedere ad entrambe. Un pensiero lo dedico ai giudici della Corte Costituzionale che si trovano a dover decidere su un tema così delicato ed importante. Già espressasi con l’ordinanza numero 207 del 2018 sul caso Cappato prima e la sentenza 242 del 2019 poi, la Corte ha avvertito e fatto propria la sofferenza che promanava dalle vicende umane di Fabiano Antoniani (Dj Fabo).
Nella consapevolezza che il ruolo dei giudici costituzionali non è solo quello di rendere giustizia nel singolo caso concreto dal quale trae origine la questione, ma è soprattutto quello di creare le basi per una soluzione giusta per un numero indeterminato di casi futuri. L’augurio è quello che nella difficile ricerca di soluzioni condivise, che, nel rispetto dei valori in cui ciascuno si riconosce, in una società pluralista, si sforzino di individuare un punto di equilibrio tra tutte le istanze di tutela dei diritti umani e dei loro bisogni. Individuare i limiti invalicabili alle possibilità di intervento dei pubblici poteri sui diritti dell’individuo. Compito che spetterebbe al legislatore, ma al quale, in questo momento storico, possiamo solo chiedere scroscianti applausi per il mantenimento della poltrona. Abbia la Corte Costituzionale l’umanità di far decidere al popolo tramite il via libera al referendum quale sia la giusta strada che l’Italia deve percorrere.
Non siete soli in questa difficile scelta. Infine vorrei riportare le parole che Piergiorgio Welby, persona affetta da distrofia muscolare, scrisse al Presidente Napolitano: “Io amo la vita, Presidente…morire mi fa orrore, purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. Il mio corpo non è più mio…è lì squadernato davanti a medici, assistenti, parenti. Se fossi svizzero, belga o olandese potrei sottrarmi a questo oltraggio estremo ma sono italiano e qui non c’è pietà”.
Spero che anche il Presidente Mattarella possa avere impresse nella mente queste parole. In conclusione, l’eutanasia è un diritto, non un dovere. Non si impone nulla a nessuno. L’eutanasia come riconosciuto diritto civile non stabilisce l’eutanasia come comportamento, smette solo di discriminare, di punire.
La vita è sacra nel senso che tutti gli altri devono rispettarla come per loro intangibile perché tua. Inseparabile da te e dalla tua volontà. Contro il diritto sulla propria vita nessuno ha mai saputo argomentare se non per teocrazia o statolatria. Ricordiamocene tutti, nel profondo della nostra anima.