Notiamo che, data l’ampiezza e la profondità, è difficile esporre la dottrina agostiniana su Cristo uomo. In breve si può dire così: ne difese la realtà, l'integrità, la santità, la perpetuità, oltre, naturalmente, la funzione di mediatore, di giustificatore e di glorificatore. Eccone una rapida sintesi. Ne difese la realtà contro i doceti: Non ascoltiamo quelli che dicono che il Figlio di Dio non ha assunto un uomo vero (...). Egli stesso nel periodo manicheo era stato doceta per un motivo di pietà: pensava che il Verbo, mescolandosi alla carne, ne sarebbe stato inquinato. Alla vigilia della conversione comprese che questa interpretazione, che continuava quella gnostica, era inconciliabile con la verità storica del Vangelo. Questa convinzione fu tanto forte e tanto spesso ripetuta, che certe espressioni (come: Cristo volle essere nutrito per degnazione, non per necessità) debbono essere comprese, come risulta dal contesto, nel senso di una volontarietà e degnazione in radice, cioè quella dell'incarnazione, e non nel senso più o meno doceta nel quale sembra muoversi, piuttosto confusamente, Ilario. Altra cosa dopo la risurrezione, quando Cristo mangerà e berrà, non avendo più bisogno di cibo.[1]

Più sottile l'errore apollinarista, ma anch'esso urtava contro la verità storica del Vangelo. Agostino se ne avvide per tempo, mentre l’amico Alipio pensò che fosse l'insegnamento della Chiesa cattolica e perciò “si muoveva verso la fede cristiana piuttosto pigramente”.  Solo più tardi capì che quell'errore era degli apollinaristi, non della Chiesa. Dell'apollinarismo Agostino conobbe almeno tre forme e le respinse tutte e tre energicamente, spesso con formule icastiche come questa: Gli hanno concesso l'anima d'una bestia e gli hanno sottratto l'anima dell'uomo. La sintesi positiva del suo pensiero può essere colta in queste sue parole: È confermato nella fede cattolica che quell'uomo, che la Sapienza di Dio assunse, non ha nulla in meno degli altri uomini per l'integrità della natura, ha ben altro dagli altri uomini per l'eccellenza della persona, poiché degli altri si può dire che hanno il Verbo di Dio, ma di nessuno, se non di Lui, si può dire che è il Verbo di Dio.[2]

Sant’Agostino della santità di Cristo mise in rilievo la pienezza della grazia - egli ebbe in sé tutti i “profondi tesori della scienza e della sapienza” - e fu esente non solo da ogni peccato, ma anche da ogni inclinazione al peccato. Non v'è dubbio che ebbe anche le passioni umane - l'amore e il desiderio, la tristezza e la gioia - ma ordinatissime, sicché tutto ciò che Cristo, perfetto uomo, “desiderò, era lecito; tutto ciò che non era lecito, non lo desiderò”. Contro chi ne avesse dubitato, come mostrava di fare Giuliano, Agostino lancia la più severa delle sue condanne: “sia anatema”. Il santo difese inoltre la permanenza e la perpetuità della natura umana di Cristo dopo la fine dei tempi. La difese contro una strana opinione, ricordata almeno due volte, secondo la quale l'umanità di Cristo, compiuta l’opera della redenzione, si trasformerà nel Verbo che l'ha assunta e l'uomo si tramuterà in Dio o, come spiega il nostro dottore, scomparirà in Dio. Di questa opinione dice seccamente: Non vedo assolutamente come si possa conciliare con la verità.[3] Egli invece ritiene che la lode e il ringraziamento a Cristo uomo, dal cui sangue siamo stati liberati, costituirà un motivo perpetuo di ineffabile giocondità nella città dei beati: Quella città non avrà niente di più gioioso che questo cantico di lode alla grazia di Cristo.[4]

Ma dove la teologia agostiniana su Cristo uomo rivela meglio le sue profondità è sull'argomento delle relazioni tra la natura umana assunta dal Verbo e la salvezza degli uomini, che Agostino pone al centro della sua dottrina sulla grazia. Non solo egli rimprovera i filosofi di aver fatto filosofia senza Cristo uomo, ma non risparmia neppure Ambrogio (e si sa quanta venerazione avesse per lui), il quale, per scusare Pietro che aveva negato Cristo, disse che aveva negato solo l’uomo. La reazione di Agostino non poteva essere più energica: “Falsa benevolenza”, risponde. A tutti dispiace dover riconoscere che Pietro negò Cristo, ma non si può negare Cristo per scusare Pietro. Infatti, «chi confessa Cristo Dio e nega Cristo uomo, Cristo non è morto per lui, perché Cristo è morto come uomo. Chi nega Cristo uomo, non può essere riconciliato con Dio per mezzo del mediatore. Uno solo è Dio, uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù» (1 Tim 2, 5). «Chi nega l'uomo Cristo non può essere giustificato, perché, come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così per l'obbedienza di un solo uomo tutti saranno costituiti giusti» (Rm 5, 19). «Chi nega l'uomo Cristo, non risorgerà nella risurrezione della vita, poiché come per mezzo di un uomo venne la morte, così per mezzo di un uomo la risurrezione dai morti» (1 Cor 15, 21). Agostino continua: A quale titolo Cristo è capo della Chiesa, se non perché uomo? Come può dunque appartenere al corpo di Cristo chi nega l'uomo Cristo?[5]

Senza Cristo uomo non c'è né mediazione, né riconciliazione, né giustificazione, né risurrezione, né appartenenza alla Chiesa; cioè nulla di tutto ciò che costituisce la sostanza della soteriologia cristiana. L'accusa di platonismo, che da qualche parte si continua a rivolgere alla cristologia agostiniana, quasi che il vescovo d’Ippona da buon platonico avesse parlato molto del Verbo e poco dell'uomo Cristo, è proprio, come si vede, senza fondamento. Si può continuare ad esporre la dottrina agostiniana, sempre molto ricca, su Cristo uomo. Sant’Agostino, per ragioni personali, apologetiche e pastorali, oltre che teologiche, insiste su Cristo via. Sarebbe lungo spiegare queste ragioni. Per quelle personali si veda la sua conversione, che nel momento culminante trovò il motivo essenziale nella scoperta di Cristo via, cioè mediatore; per le ragioni apologetiche si ricordi la ripetuta affermazione che i filosofi hanno scorto da lontano la meta ma non hanno conosciuto la vita  e il rimprovero che fa loro di non voler accettare Cristo che è appunto la “via universale alla liberazione dell’anima”; per le ragioni pastorali si osservi la frequenza e la grande passione con la quale parla di Cristo modello da imitare, medico da invocare, latte da succhiare: tre aspetti fondamentali della spiritualità, oltre che della teologia, del vescovo d'Ippona.

Nella sua dottrina cristologica ha un'incidenza essenziale il passo evangelico: «Io sono la via, la verità e la vita»(Gv 14, 6); ne costituisce, si può ben dire, il fulcro e la sintesi. Anche se spesso attribuisce l'essere via a Cristo uomo, l'essere verità e vita a Cristo Dio - “Il Figlio di Dio, che è sempre nel Padre verità e vita, assumendo la natura umana si è fatto via” -, dando l'impressione in questo modo di avere una concezione riduttiva del compito e della dignità di Cristo uomo. È un'impressione errata. Bastino poche osservazioni. La storicità non può confondersi con il relativismo. La storicità si distingue da esso sia per sua scelta impegnata, la quale significa nello stesso tempo legame a una tradizione concreta, come pure per le sue implicazioni metafisiche. Pensare il Dio cristiano nell’orizzonte della storicità non significa, pertanto, relativizzarlo, coglierlo continuamente nella sua inesauribile ricchezza Dio è sempre lo stesso, è fedele a sé e a noi, ma egli è anche - con una espressione di Agostino - il più giovani di tutti noi, è un nuovo ogni giorno, incomprensibilmente nuovo, di modo che quando noi riteniamo di aver compreso Dio, dobbiamo sempre sperimentare che egli non era colui che abbiamo afferrato.[6]

sac. prof. dott. Gregorio Lydek - ks. prof. dr Grzegorz Łydek



[1] SANT’AGOSTINO, Le lettere, p. 40

[2] Ibid., p. 41
[3] Ibidem.
[4] Ibid., p. 44.
[5] Ibid., p. 45.
[6] Cf. NICOLA CIOLA, Teologia Trinitaria- Storia- Metodo-Prospettive, EDB , Bologna 2000,  p. 180.