Catena della fiducia di Federico Compagno
Catena della fiducia. Siamo animali sociali legati con l’altro da catene della fiducia.
Questa componente fondamentale per il benessere psicofisico e sulla quale si basano la gran parte delle nostre credenze consce e inconsce, viene ,tuttavia, messa alla prova e talvolta spezzata dai più diversi fatti della vita che rompono quelle maglie, spezzano l’asse Io-tu, i traumi.
Questi possono avere forme e origini diverse, sono inoltre diversi tra loro per la frequenza di esposizione all’agente traumatizzante e l’intensità avvertita; ma tutti, in un certo senso, spezzano quella catena della fiducia che siamo portati naturalmente a costruire dal momento in cui siamo estratti dal grembo materno e ancora ciechi e inermi veniamo affidati alle mani di sconosciuti che detengono sul nostro respiro fragile il potere di vita o di morte.
L’altro è colui sul quale riponiamo la nostra speranza, è colui al quale affidiamo il nostro bisogno di un ritorno affettivo necessario a nutrire la nostra fame di legittimità alla vita, l’altro è inoltre colui con il quale ci rispecchiamo e confrontiamo per comprendere norme e comportamenti prosociali da tenere quando siamo ancora troppo piccoli per acquisirli autonomamente.
L’altro, ancora, è colui al quale dobbiamo la vita nel caso dei genitori, è colui che dobbiamo proteggere perché gli abbiamo dato la vita nel caso dei figli, l’altro è colui che dobbiamo amare e supportare perché è nostro fratello o sorella anche se di sangue diverso.
L’altro insomma, è lo specchio, l’oggetto Sé, con il quale e sul quale proiettiamo le nostri pulsioni, le nostre necessità più arcaiche e primitive, la nostra fiducia, l’altro è colui che attraverso empatia a affetto ci dice che la nostra vita ha senso di esistere perché accolta da un’altra anima.
Ebbene, quando si verifica un trauma quale il lutto, una dura separazione, una pandemia, una grave malattia o ancora un tradimento di coppia o di un amico, si spezza quella catena che tiene legate le nostre credenze sulle quali ci siamo basati per tutta la vita.
Il genitore che scompare è il crollo di una figura mitologica generatrice dalla quale dipendeva la nostra esistenza, il sopravvivere a un figlio è il fallimento di fronte a quel mandato originario di immortalità della prole che guida l’esperienza genitoriale dal concepimento in poi, la grave malattia è un condensato di sfiducia nella vita stessa, messa in pericolo da qualcosa di più grande che inevitabilmente può far vacillare anche la fiducia nelle cure di chi ci sta vicino. Infine il tradimento, la separazione, la pandemia, sono tutti eventi che ci insegnano a non avere più fiducia in chi ci sta vicino, a temere chi prima ci proteggeva, ad avere paura di essere contagiati e uccisi da chi prima vegliava sulla nostra esistenza.
Si è accennato, senza entrare nello specifico di una dimensione clinica che necessita di attenzioni e approfondimenti maggiori, a traumi differenti per natura e oggetto che custodiscono un elemento comune sul quale si focalizza questo articolo, la fiducia. In tutti i casi raccontati in queste poche righe, la sfiducia e il disinvestimento dell’altro sono solo alcune delle conseguenze a tali eventi. Tuttavia, a mio opinabile e contestabile parere, comprendere questo fallo nella catena della relazione intra e interpersonale può voler significare approcciarsi, in termini affettivi ancora prima che clinici, a tali esperienze, ponendo particolare rilievo alla necessità di ripristinare fiducia in sé stessi, nell’altro e infine nell’ambiente. Al fine di rendere pensabile l’impensabile, rendere umano ciò che non è più umano, rendere fertile ciò che il trauma ci ha fatto credere sia irrimediabilmente arido.