Ora che la Germania sta sostituendo il suo “Hartz IV” con il più dignitoso e mininvasivo “Burgergeld”, che la stampa nostrana ha subito ribattezzato come il “Reddito di Cittadinanza Tedesco”, alcuni dei nostri politici iniziano prudentemente (rectius: demagogicamente) ad arretrare dalla cantilena: «Si danno soldi a chi non fa nulla!». Pure a destra un "vecchio veterano” è da poco uscito con l'idea che il RdC nostrano vada addirittura potenziato. Notevole!
Si cambia idea un po' troppo facilmente. Ma ci sta: è certa politica! Sempre da inquadrare e tener presente, però. Perché vi ricordo che questo fine settimana dobbiamo fare il nostro dovere di cittadini e scegliere chi meglio ci potrebbe rappresentare. O il meno peggio, come preferite.
La Germania è solo l'ultimo segnale contrario al venticello che soffia sul fuoco, uno spiffero più che altro, che però prova ad alimentare guerre tra poveri. Prima della Germania è stata l'Europa a contrastare lo spiffero benedicendo più volte il RdC e, ultimamente, raccomandandolo agli altri stati che hanno sistemi un po' più datati o rigidi. Ma si pensa sempre più in grande, come già avevo scritto in un recente articolo facendo un piccolo cenno al RBU.
Cede sempre più, insomma, l'assunto campato in aria secondo il quale i percettori di questi sussidi sarebbero dei “parassiti” che stanno sul divano a rigirare i pollici. E nel frattempo vanno in malora commercianti e imprese che non troverebbero più lavoratori. Pensa te! Nonostante l'aumento delle assunzioni regolari negli ultimi due anni dica l'esatto opposto.
Ma di queste cose ne averte lette e sentite ormai tante, mentre io qui voglio parlarvi di qualcosa di un po' diverso.
Fugato il “parassitismo da divano” - ormai dovrebbe essere chiaro che sarebbe come parlare di draghi blu a pois rosa - vorrei aprire una riflessione sul “parassitismo occupazionale”. Riguarderebbe molti cittadini che lavorano regolarmente, guadagnano anche molto bene e guardano dall'altro in basso i poveri percettori di sussidi sparando frasi a caso come: «Andate a lavorare, sfaticati!». Causa del lasciarsi trascinare da quel venticello (spiffero) di propaganda che alimentano alcuni politici.
Provo a spiegare a questi nostri amici come funzionano le cose, nel loro particolare caso. Vi avverto: sarò costretto a esasperare alcuni concetti per poter contenere questo articolo in una sintesi accettabile, poiché il tema è davvero vasto e pur non mutando le conclusioni richiederebbe una trattazione molto più ampia e seria.
Chi lavora paga giustamente le tasse. E non è bello vedere che parte di quelle tasse finiscano in tasca di presunti fannulloni improduttivi per lo Stato. Agli accigliatissimi impiegati e professionisti che lo pensano sfugge la cocente verità che gran parte di loro sono mantenuti dallo Stato, esattamente come quegli altri fannulloni.
Proprio così.
Vedete, la maggior parte del lavoro odierno è inutile. Lo è in percentuali strabilianti: inimmaginabili. Totalmente inutile. Totalmente sostituibile da un'economia leggermente diversa e/o da processi di automazione, robotica e intelligenza artificiale. E lo è già oggi, non domani. Se dunque aderissimo alla stessa corrente di pensiero che condanna i sussidi, dovremmo ammettere che un essere umano impegnato in un lavoro inessenziale non ha gran dignità. E' come il poverello che chiede l'elemosina vicino al ristorante, e il ristoratore (per farlo sentire utile) gli fa lavare i piatti, anche se non ne avrebbe bisogno.
E' sempre elemosina. Mascherata da qualcos'altro.
Ci hanno insegnato così: che basta lavorare. Non è necessario chiedersi se quello che si sta facendo sia effettivamente utile a qualcuno o qualcosa.
Per esempio, anche la dottoressa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, dietro la sua impermeabile scrivania della Previdenza Sociale, percepisce uno stipendio che potrebbe essere risparmiato. Lei, che magari dirige l'ufficio addetto al calcolo dei sussidi, è parte integrante di questo popolo di “mantenuti”. Che ne sia consapevole o meno poco importa; ma esserne consapevoli mette lei, e chiunque altro, in condizione di rapportarsi al meglio con i “meno fortunati”. Quello spicchio dell'umiltà umana che abbiamo da tempo barattato con le meraviglie del consumismo.
Eppure dovremmo essere in parecchi a ricordare le catene di montaggio umane, che sono appunto un ricordo. Quegli operai dove sono finiti?
Ma questo è niente. Vi riporterei indietro con me di circa 40 anni, per farvi giocare con un primordiale sistema di intelligenza artificiale (lo chiamai A.B.E., ed era il mio primo esperimento informatico “impegnato”). Oggi sarebbe più o meno il “chat bot” della vostra banca, quello che sull'app o sul sito fa l'impertinente chiedendovi costantemente: «Ciao! Hai bisogno d'aiuto?». Ha già mandato a casa qualche impiegato di troppo, ma risulta ancora acerbo, impacciato e sembra non capire niente. Badate, però, voi osservate e sperimentate ciò che regola esclusivamente il mercato e la necessità di mantenere tanti altri inutili/sostituibili posti di lavoro. Non siamo certo fermi a quel mezzo secolo fa, con la mia informatica primordiale, che già comunque scioccava più dell'odierno “chat bot”. Credetemi sulla parola.
I progressi odierni fanno piacevolmente paura, ma la società non è affatto pronta; alla politica serve gran fegato e piani notevoli per effettuare il gran salto, trattare con il mercato e rivoluzionare l'economia (e la società stessa).
Intelligenza Artificiale non è sinonimo di entità senziente. Una macchina rimane una macchina, velocissima, affidabile, efficiente, ma priva di consapevolezza di sé. Per certi versi è anche errato utilizzare il termine “intelligenza” in senso antropico. L'IA odierna è un modello che risponde a richieste, costruisce inferenze, risolve problemi. Riesce a organizzare dati eterogenei e comprendere complessità e natura di un flusso semantico conducendolo gerarchicamente a soluzione.
Per fare un esempio - e magari stupirvi - un IA è oggi in grado di “giudicare” come farebbe un magistrato, ma in maniera totalmente asettica. Il che proietta tale soluzione sulle più alte vette del diritto, riservando l'attività umana ai gradi inferiori: giudizi di merito, riti più empatici come l'arbitrato, la conciliazione e i giudici di pace, e dove tuttavia può essere un coadiuvante di grande aiuto per sfoltire - anche lì - personale giudicante e di cancelleria (figuriamoci assistenti e altri impiegati).
Con una supervisione umana minima, giusto per verificare e convalidare tali “flussi”, capite bene come si ridurrebbe la necessità di personale umano anche di altro profilo. Per il resto, automazione e robotica (con in particolare l'evolutissima tecnologia sensoristica) farebbero sparire da domani tutti i corrieri, fattorini, postini, operai di mille mansioni, camerieri, meccanici, e via discorrendo. Come già successo nelle catene di montaggio.
E la sapete quella del pizzaiolo robot...? Ve ne metto uno a caso da YouTube.
Ma cercate da voi tanti migliori esempi nelle più disparate mansioni.
Chi rimarrà domani a fare un lavoro inutile/sostituibile (perché rimarranno, ovviamente) lo farà consapevolmente e per altre ragioni: il piacere di farlo da sé, volersi offrire come alternativa alla “macchina”, senza le odierne velleità di elevazione sociale e cosciente di costituire una nicchia di appassionati, cultori, amanti dell'"analogico", o come altro li volete chiamare. Ma ai fini del nostro discorso non cambia nulla, come non cambia nulla l'eco che già avverto nell'udire: «Ma non sarà mai come fatto dall'uomo!». E' una resistenza psicologica (patologica) comprensibile, ma irrilevante.
Non serve più l'uomo in tanti lavori e professioni perché l'uomo stesso ha percorso questa strada. E' l'inarrestabile esigenza di migliorarsi ed evolvere, per quanto sia chiaro che a qualunque rivoluzione consegue un'assimilazione psicologica (collettiva) che quasi sempre richiede più tempo della scoperta in sé. Ed è piuttosto sconcertante dover ammettere che quasi tutte le attività produttive e gestionali umane saranno rimpiazzate non appena si consoliderà questa consapevolezza. Tutto ciò che non ha legami con il “cogito ergo sum!”, come le attività strettamente intellettuali, filosofiche, empatiche, creative, è rimpiazzabile.
C'è poi chi si spinge ben oltre, e vi potrebbe parlare del cosiddetto “transumanesimo”, che per farla breve conduce a una sorta di fusione tra l'essere umano e la macchina. Non consideratala fantascienza, commettereste un errore. Comunque non ci riguarda, perché non riguarda il tema di questo articolo che ha voluto tenere i piedi ben saldi per terra: nell'esistente, nell'attualizzabile, nell'imminente.
Ricordando Kafka: «Lascia dormire il futuro come merita: se lo svegli prima del tempo, otterrai un presente assonnato», ricordiamoci anche di riportare alla realtà chiunque pretenda patenti di superiorità solo perché ha un lavoro e crede di essere membro attivo e utile all'umanità.