È stato sufficiente che la Protezione Civile divulgasse uno o due dati sulla decelerazione del Coronavirus e dei suoi malvagi effetti per riattizzare confronti e scontri sulla opportunità o meno di dare il via alla cosiddetta “Fase 2” della emergenza pandemica.

Ad innescare il nuovo pressing per superare il lockdown ed autorizzare la riapertura di tutti i siti produttivi, non potevano essere, of course, che imprenditori confindustriali.

Dopo che con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale hanno incamerato l’impegno del Governo a mettere a disposizione i 400 miliardi di prestiti a tasso zero, le associazioni confindustriali di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna hanno indirizzata al Presidente del Consiglio una loro proposta.

Nel documento adombrano scenari catastrofici: senza la riapertura di tutte le attività al Nord “nel breve periodo il Paese rischia di spegnere definitivamente il proprio motore ed ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia”.

Leggendo queste parole si ha la sensazione che, con le menti intorbidite ed accecati dal “mito del profitto”, i confindustriali ignorino, o fingano di ignorare gli effetti che ancora oggi il Covid-19 cagiona nelle loro regioni.

Ad esempio, negli ultimi 7 giorni, dal 2 all’8 aprile, nelle 4 sole regioni del nord si sono riscontrate 43.993 persone contagiate e 3.370 decessi.

Dati angoscianti di fronte ai quali, prevedendo anche gli effetti probabili di una riapertura indiscriminata dei siti produttivi senza adeguati protocolli di sicurezza, il Governo si dovrebbe interrogare sul prezzo che i cittadini sarebbero chiamati a pagare in termini di ulteriori contagi e di vite umane.

Per uscire dallo stallo un compromesso potrebbe essere quello di consentire la riapertura solo alle imprese che abbiano provveduto prima ad attuare un protocollo di sicurezza configurabile con, ad esempio:

  • sanificazione di tutte le aree del sito di produzione ed uffici;
  • riorganizzazione dei posti di lavoro per distanziare tra loro gli operatori;
  • dotazione per ogni addetto di tutti i dispositivi di protezione individuali;
  • creazione di un “responsabile” che vigili costantemente sul rispetto del protocollo di sicurezza.

Il buon esempio lo ha dato FCA Italy che, sottoscrivendo un accordo con i Sindacati, si è impegnata a realizzare questi interventi per garantire la sicurezza dei lavoratori al loro rientro in fabbrica.

FCA Italy realizzerà a proprie spese il progetto sicurezza, mentre secondo Il Sole 24 Ore le imprese confindustriali del nord chiederebbero allo Stato, cioè a tutti noi, “finanziamenti a fondo perduto che supportino gli investimenti nella sicurezza”, cioè soldi nostri per ricominciare a produrre e fare profitti… per loro.

E ti pareva!!!