di Marco Francesco Eramo.   Il legame tra mente e pancia è molto stretto e tanti disturbi gastrointestinali possono nascere da disagi psicologici. 
Mente e corpo sono connessi. E sempre più studi evidenziano come i disturbi gastrointestinali in una buona percentuale di casi possono avere natura psicosomatica.

Per questo motivo, non si escludono specialisti come psicologi e psicoterapeuti per rimediare a problemi come la gastrite. In particolare, Piero Rolando, psicologo e psicoterapeuta CBT, supervisore e didatta della Società Italiana di Analisi Bioenergetica (SIAB) ci spiega cos’è l’analisi bioenergetica. Un metodo che durante le sedute, a differenza di quelle classiche di psicoterapia, si avvale anche della mediazione corporea, cioè di un contributo del corpo. Tramite il proprio fisico il paziente riesce a entrare in contatto con la propria sfera emozionale e a stabilire una connessione profonda con quello che sta vivendo in quel momento. 

Il compito della psicoterapia bioenergetica è quello di ricucire la scissione esistente tra mente e corpo che spesso si configura come causa del disagio del paziente. 

Il principio cardine su cui ruota l’analisi bioenergetica è la possibilità di cogliere un legame tra forme di autolimitazione dell’espressione del sé e stati di contrazione croniche dell’organismo. Come quella che può verificarsi con una gastrite. Per questo motivo, il contributo dello specialista bioenergetico è fondamentale per liberare le emozioni intrappolate nel corpo.

Quest’ultimo, a conferma della propria interdipendenza con la mente, manda dei segnali affinché il soggetto possa accorgersi del malessere interiore. Non sono da sottovalutare sintomi come dolori alla zona lombare, tensioni al diaframma, difficoltà digestive e insonnia. Specie se si riscontrano dei miglioramenti in seguito alla classica psicoterapia.

Le strategie utilizzate in questa tipologia di analisi si ispirano anche al mondo dell’espressione spontanea dei bambini. Una di queste, utile per incentivare lo sfogo di alcune emozioni, imita lo scalciare, in posizione supina, tipico dei neonati. Altre, invece, prevedono l’esecuzione di una serie di pugni, accompagnati da frasi liberatorie, atti a buttare fuori la carica emozionale.

È bene, però, ricordare che queste tecniche non sono dei meri sfoghi. Il paziente dev’essere consapevole, capace di elaborare le emozioni e fisicamente piantato a terra, ovvero dev’essere nella cosiddetta fase di grouding (radicamento al terreno).

Una delle esperienze riparative per eccellenza è il pianto. Che, però, può comportare un cambiamento soltanto a certe condizioni. Il soggetto si accorge che le lacrime versate sono state risolutive quando alla fine del pianto il respiro fluisce in maniera fluida e naturale come un’onda. È un respiro profondo grazie al quale la persona può provare un senso di sazietà emotiva.