Come ogni terzo lunedì di gennaio, dal 1983 anno in cui è stato istituito, ieri negli Stati Uniti si è celebrato il Martin Luther King Day. Questo è servito come spunto a molti notisti americani, soprattutto su siti alternativi, per ricordare le vicende legate all'assassinio del leader antisegregazionista e, soprattutto, l'ipocrisia delle commemorazioni ufficiali. King viene ricordato solo per i suoi discorsi ufficiali, in particolare il famoso "I have a dream". Una versione edulcorata della vita del sostenitore della resistenza non violenta, che, in realtà, fu duramente contrastato da coloro che oggi ipocritamente lo celebrano. Stranamente i media ufficiali hanno quasi sempre ignorato o dato poca rilevanza al fatto che nel 1999 un processo civile sull'assasinio di Martin Luther King concluse che la responsabilità dei fatti andava fatta risalire a istituzioni governative. L'assassinio di King avvenne il 4 aprile del 1968 a Memphis, durante un discorso pronunciato da un terrazzo del Lorraine Motel. Secondo la versione ufficiale ad ucciderlo sarebbe stato James Earl Ray, con un fucile Remington. La vicenda non fu mai completamente chiarita e, per molti, Ray fu solo una sorta di capro espiatorio, che avrebbe ammesso la sua colpa sotto la minaccia di una condanna a morte. Nel 1993, nel corso di un programma televisivo, Loyd Jowers, proprietario di un ristorante vicino al Lorraine Motel, sostenne di aver ricevuto 100 mila dollari per organizzare l'assassinio di King e di aver assoldato a tale scopo un tenente della polizia di Memphis, certo Earl Clark. Parlò anche del coinvolgimento della mafia e del governo americano. Anche per lui James Earl Ray non c'entrava assolutamente nulla. Il processo iniziato nel 1998 e giunto a sentenza nel 1999 fu intentato dai familiari di King proprio contro Loyd Jowers. La giuria, formata da sei bianchi e sei neri, deliberò a favore dei King, convinta dalla requisitoria del loro avvocato, che portò prove dell'impossibilità che si fosse trattato di un solo assassino (James Earl Ray) e del coinvolgimento della polizia di Memphis e della mafia locale. A seguito delle risultanze del processo, il Dipartimento di Giustizia aprì un'inchiesta conclusasi nel 2000 con un nulla di fatto, in quanto, secondo a versione ufficiale, non ci sarebbero state prove sufficienti per parlare di una conspirazione. Particolarmente interessante fra le carte del processo è la testimonianza di un tassista di Memphis, che riferì quanto accadde ad un suo collega, Paul Butler. Butler fu testimone oculare dei fatti. Sentì il rumore dello sparo che uccise King e che non gli sembrò quello di un fucile. Vide la mandibola ed il collo del reverendo esplodere come colpite dalla dinamite. Ma soprattutto vide del fumo sollevarsi da dei cespugli vicini, da cui fuggì un uomo che salì su un'auto della polizia. Si convinse che l'assassino fosse stato subito arrestato. Interrogato poco dopo da dei poliziotti riferì quello che aveva visto. Fu convocato in tribunale per le nove del giorno seguente. Non ci arrivò mai. Il suo corpo fu trovato la mattina dopo alle 10, gettato fuori da una macchina che viaggiava ad altà velocità fra Memphis e West Memphis. Furono subito tagliati anche i cespugli, da dove Butler aveva visto sollevarsi il fumo e dietro cui si nascondeva il probabile autore dell'omicidio. La realtà è che Martin Luther King dava molto fastidio all'establishment non tanto e non solo per la sua lotta per i diritti civili a favore degli afroamericani, ma piuttosto per i suoi discorsi contro la guerra del Vietnam e soprattutto per la preparazione della cosiddetta "Poor People's Campaign", in cui un esercito multirazziale di poveri, non importa se neri o bianchi, avrebbe marciato su Washington per organizzare un movimento di disobbedienza civile non violenta, che sarebbe andato avanti finché il congresso non avesse approvato una legge contro la povertà e le ingiustizie sociali.