In occasione della prossima riunione a Bruxelles dei ministri degli Esteri dei paesi membri dell’Unione europea per il Consiglio degli Affari esteri, Save the Children ha inviato un appello affinché l'Europa intraprenda "passi coraggiosi e decisivi per contribuire a porre fine alla crisi umanitaria dei Rohingya, che sta divenendo la maggiore emergenza dei nostri tempi in tema di diritti umani."

All'appello, Save the Children ha accompagnato un piano in sei punti in modo da prevenire ulteriori sofferenza per i Rohingya:

insistere sull’immediato, pieno e illimitato accesso umanitario per raggiungere tutte le persone in condizione di bisogno nello stato del Rakhine;

supportare il rimpatrio dei rifugiati Rohingya in Myanmar solo se condizioni e garanzie minime sono realizzate, per assicurare la sicurezza fisica, materiale e legale dei rimpatriati e richiedere il coinvolgimento sostanziale dell’Unhcr nella supervisione di ogni processo di rimpatrio;

supportare lo sviluppo di un piano dettagliato e chiaro per assistere gli sfollati interni Rohingya, confinati dal 2012 in luoghi assimilabili ai campi di detenzione nel Rakhine, affinché possano tornare nei loro luoghi di origine o ricollocati, e facilitare il loro accesso a servizi e mezzi di sostentamento;

imporre immediatamente il divieto di ingresso nell’Unione europea e sanzioni finanziarie ai comandanti militari e ai superiori responsabili di aver ordinato atti criminali e considerare la possibilità di un divieto sulle operazioni commerciali e di investimento con le compagnie di proprietà militare;

sospendere i programmi di assistenza ai militari e supportare la fondazione, sotto il mandato delle Nazioni Unite, di un embargo globale sulle armi;

supportare l’accesso al Myanmar della Missione Onu di Fact-Findind e esplorare tutte le strade per la giustizia e il riconoscimento delle responsabilità, incluse le corti internazionali.



La preoccupazione di Save the Children per la sorte dei Rohingya è frutto dell'esperienza diretta degli operatori della Ong che ogni giorno ascoltano le storie dei bambini sopravvissuti e delle loro famiglie, che hanno vissuto o assistito alle più orribili violazioni che, documentate, testimoniano atrocità che nel loro insieme costituiscono crimini contro l’umanità e pulizia etnica: stupro sistematico, violenza sessuale, umiliazione pubblica, punizioni collettive, omicidio, evacuazione forzata e distruzione della proprietà privata.

Le seguenti sono alcune delle testimonianze raccolte e riportate da Save the Children nel proprio appello.

«I militari sono venuti nel nostro villaggio, hanno iniziato a sparare alle persone colpendo mia madre a un’anca. Poi hanno chiesto a tutte le adolescenti di stare in piedi e ci hanno domandato dove fossero i nostri genitori – ha raccontato una ragazza di 16 anni. - Ho detto loro che mio padre era morto da 15 anni. Mi hanno colpito in faccia con un arma da fuoco, mi hanno dato un calcio nel petto e mi hanno pestato braccia e gambe. Sono stata stuprata da tre soldati per due ore. A un certo punto sono svenuta. Mi hanno rotto una costola quando mi hanno colpita, è stato molto doloroso e respiravo a fatica. Ho ancora difficoltà a respirare, ma non sono stata da un dottore, perché mi vergogno troppo.»

«Quando i militari sono arrivati, due dei soldati hanno afferrato una adolescente e l’hanno stuprata in gruppo, di fronte all’intero villaggio. Quelli che cercavano di aiutarla venivano picchiati dagli altri soldati. Hanno iniziato a sparare addosso alla gente, così siamo corsi verso il villaggio vicino. Anche la ragazza è riuscita a scappare e a raggiungere il villaggio dove la maggior parte di noi era fuggita. Era in condizioni molto gravi. I suoi genitori sono stati uccisi nel tentativo di darle aiuto. L’ho lavata e ho provato a curarle le ferite. Aveva solo 14 anni e sanguinava molto. È morta dopo 4 giorni.»

«Con la crisi dei rifugiati Rohingya assistiamo al più rapido spostamento di massa di un popolo dopo il genocidio del Ruanda nel 1994 e sta accadendo di fronte ai nostri occhi. I ministri riuniti a Bruxelles hanno molti strumenti a loro disposizione per contribuire alla produzione di un cambiamento positivo, dalla diplomazia alle sanzioni - ha commentato Ester Asin, direttrice dell’ufficio Ue di Save the Children a Bruxelles. - Molti Rohingya ora affrontano la prospettiva di essere rimpatriati forzatamente in circostanze discutibili e senza alcuna garanzia di sicurezza. Centinaia di migliaia di persone innocenti hanno perso tutto senza aver commesso alcun crimine.

I leader Ue hanno un’unica opportunità di affrontare la sfida e combattere per i Rohingya perseguitati. Uno dei principi fondamentali dell’Unione europea è il rispetto per i diritti umani, le libertà civili e la legge. Chiediamo ai leader dell’Unione di restare fedeli ai loro impegni e di agire ora. Non c’è tempo da perdere, non possiamo permetterci un altro Ruanda.»