Cultura e Spettacolo

Stefania Sergi: Pittrice, scultrice e poeta una grande artista per il parco naturalistico e di scultura “Anna Serena Zambon”

Stefania Sergi è nata a Cagliari nel 1962, pittrice, scultrice e poeta, vive e lavora in Toscana. A diciotto anni lascia la sua terra natia e si trasferisce a Roma, dopo gli studi umanistici espatria in Germania, dove nel 1989 vive il fervore della Neue Wild Art. Nel 1994 con i suoi figli piccoli è di nuovo a Roma, per poi fare un ulteriore trasferimento nel 1997 ancora all’estero.

Nel 1999 mette radici ad Arezzo, dove  trova finalmente una terra ricca di richiami per la sua arte.

“Qui mi chiamano ‘la sarda’ e la cosa mi fa sorridere, mi piace: anche se ho vissuto tanti anni all’estero mi sento sarda sino in fondo. Appartengo a un popolo che ha una chiara identità e storia con radici profonde, è un punto di forza nella mia arte. Anche se non è questo il mio intento, il legame si mostra chiaramente attraverso la poesia e la creazione. Mi lego a tutto ciò che incontro e la mia storia diviene un insieme di patrimoni”.

L’attività espositiva è molto intensa, presente in campo nazionale e soprattutto internazionale da più di venticinque anni. Riconosciuta anche in ambito poetico, ha pubblicato tre libri ed è presente su diversi testi critici e molte antologie. Ha ricevuto diversi premi.  Dal patrimonio spirituale e naturale della sua terra natia nasce la sua vocazione sperimentale. La ricerca di tecniche e materiali diversi è ricca e originale, si caratterizza come sperimentatrice unendo alla scrittura la pittura, la scultura, il rilievo, il murale, Body Art, libri d’artista, fino ad arrivare agli interventi ambientali e alle performance nella natura. L’opera dell’artista si contraddistingue per un’incessante meditazione sul corpo femminile. Il tema fondamentale l’ intreccio e le trame dei legami umani. Se la sua pittura narra la lucentezza delle forme invisibili, la rappresentazione in scultura dei corpi e dei volti, dà un’idea di fissità che mette direttamente in contatto l’opera con chi la guarda, come una sorta di “maschera divina” che tende a far parte della cultura di ogni persona che guarda l’arte.

Le sue sculture danno l’idea di essere uscite dalle cavità perfette della sua Terra, dalla Natura,  per indicare un percorso non più in attesa e non solo pensiero ma azione che muove il mondo, quello dei sentimenti, che anche nelle sue liriche offrono spesso una via d’uscita. La sua quindi è un’azione poetica che suscita le vite interiori di chi osserva, e così si compie la sua idea di trasmettere lo strato caratteristico sensuale del suo linguaggio e ci guida nell’origine delle sue parole e delle sue forme. L’impegno sul filo appartiene al suo lavoro di anime erranti, trovare un legame umano, spaziale e temporale che ci leghi e ci liberi. Se questo legame non avviene, come noi desideriamo resta appesa sulla nostra anima il nodo insoluto. Il conflitto quindi tra il desiderio di legarci e di slegarci. E’ il filo della vita che ci indica la via apparentemente contraddittoria di libertà o solitudine. Tuttavia, dall’unione di più fili dentro e fuori, dal loro intricarsi sono generati nodi, la cui presenza sulla corda tirata, influenza tutto il corpo cui, il filo si lega, trasformando l’eventuale rottura in legame; in eguale maniera i legami che continuiamo a creare nella vita, ci rafforzano e ci formano eternamente.

E poi è arrivata l’opera Incantos! Viene fuori dal silenzio della terra, dal sospiro lieve di una donna che guarda il mondo e la natura, lo osserva e lo ferma. Mondo che tenta di districarsi fra la rete di relazioni, di sentimenti, di emozioni, ma senza strappi, senza forzature: senza violenza. Esce dolcemente dal suo intrigo e ci tende una mano, ieraticamente, quasi a volerci offrire la possibilità di essere accompagnati dentro, di essere salvati,di essere irretiti in un viaggio all’interno dell’animo, all’interno di noi stessi.

“La mia ultima opera di cui è uscita una monografia, rimanda col suo nome al quel mondo: è una dea madre, una Kore contemporanea che racchiude a livello simbolico altri richiami e significati. Diciamo che mi viene spontaneo vivere la mia sardità e mi piace farla incontrare a chi non la conosce”.

Stefania Sergi semplifica gli eccessi: restituisce una sobrietà compositiva che sembra trasudare dall’interno stesso della forma materica, ma che scivola sulla superficie con una sensualità rara, e con un’espressività lontana da quello sterile legame con la tradizione che vincolerebbe il suo lavoro scultoreo a canoni di maniera, auspicabili da pochi occhi non ancora rassegnati all’accettazione incondizionata della concettualità. Questo è il suo modo di rendere finita l’idea, un modo in cui non esiste altra scultura, perché ci si sente sospesi dal filo del tempo che si attorciglia in un intreccio indissolubile e che non lascia trapelare altre idee, altre soluzioni possibili. Incantos ne esce così vittoriosa e fiera, bianca da un labirinto di fili, indicandoci “la strada”, proteggendoci dai vicoli ciechi che conducono a muri invalicabili. Si fa essa stessa via d’uscita, filo d’Arianna che ci porta al “tesoro”, logica che svela il mistero del viaggio verso la catarsi, melagrana ricca di semi fertili e fruttuosi.

Incantos osserva. Osserva e ci accompagna in questo viaggio a ritroso, arcano, che man mano progredisce verso il centro di noi stessi, verso il centro della natura, ma pretendendone un ritorno, in un luogo dove quello sforzo umano intellettivo e carnale tramuta il caotico in materia prima. E’ un viaggio dove i suoi passeggeri cercheranno ogni volta di impossessarsi di quei fili invisibili che legano l’uomo alla sua stessa arte, svelandone dignità e consapevolezza.  Dignità e consapevolezza che trasudano da Incantos mai artificiose. Espressioni pure di una fierezza del proprio essere: finalmente donna, madre Natura.

Incantos è nata quando ho provato con il mio corpo, in una performance, a legarmi con dei fili agli alberi, alla terra, alle case. Ho testato su di me con la mia vita, attraverso le linee dei miei confini, impedimenti, dolori, lutti, conflitti, trasformandoli poi in una nascita spirituale, in una nuova visione: il suo bianco rappresenta concretamente questo. Desideravo dire qualcosa e non sapevo come dirlo. Un giorno, mentre mi trovavo a passeggiare su una costa di Follonica, una pietra con tutti i suoi filamenti millenari mi ha suggerito l’ispirazione. Una specie di tessuto in trame: sembrava l’ideale, come manto dell’anima, un intreccio di fili e nodi per comporre ciò che sarebbe divenuto la seconda pelle dell’opera.”

Quasi trenta  anni di mostre, testi poetici, antologie inedite e sculture, dipinti, premi e riconoscimenti dalla critica nazionale e internazionale. Stefania Sergi è una grande artista in difesa della Natura.

Articolo di Massimiliano Perlato

Autore rosam2010
Categoria Cultura e Spettacolo
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