Quella che noi indichiamo “storia” è la summa di miliardi di esperienze vissute da ogni essere vivente che vive temporaneamente in questa dimensione materiale.
Le esperienze individuali e collettive rappresentano gli elementi preziosissimi e indispensabili che compongono il puzzle della memoria collettiva, un tesoro dal quale trarre preziosi suggerimenti per valutare le situazioni che si presentano alla nostra osservazione e talvolta dovrebbero preservarci dal commettere un grave errore.
È estremamente interessante quanto ha scritto l’ex magistrato Rosario Priore a riguardo del periodo più sanguinoso e destabilizzante della storia della nostra Repubblica democratica essendo stato giudice istruttore delle principali inchieste degli anni ’70.
Si occupò del pericoloso fenomeno eversivo nero e rosso; del sequestro e uccisione di Aldo Moro; della strage di Ustica; di Autonomia Operaia e BR con le implicazioni internazionali di cui non si è mai voluto parlare; dell’attentato a Giovanni Paolo II.
Anni di duro lavoro fatto di ricerche, documenti, prove, incontri con agenti segreti, politici nazionali ed internazionali, ex terroristi, testimonianze, carteggi privati: attraverso la sua esperienza personale e diretta egli da una lettura estremamente interessante e molto inerente alla realtà di quegli eventi tragici tutt’ora ancora coperti da fitte nebbie. Lui stesso ammette che fu scelta la strada tranquillizzante delle “verità giudiziarie” perché la realtà era impossibile renderla pubblica, avrebbe significato dire ai cittadini che erano governati da fantocci ai quali venivano imposti metodi criminali per tenere sotto controllo e indirizzare i loro destini verso sponde falsamente democratiche perché conformate agli interessi degli alleati.
Noi che abbiamo vissuto in quegli anni dobbiamo ammettere la nostra ingenuità che ha permesso a delle forze estranee di influire pesantemente nelle scelte degli obiettivi generali, che hanno impedito il formarsi di una coscienza civile che avrebbe ostacolato e, forse impedito, quelle operazioni criminali che ci hanno privato di guide sagge come Enrico Mattei e Adriano Olivetti che tutt’ora rappresentano due modelli di italiani che avevano a cuore i destini della loro gente e soprattutto dei più svantaggiati.
Ci stiamo ancora domandando perché non si è fatta chiarezza sui mandanti di quei crimini orrendi mentre sono finiti sotto processo personaggi secondari che sono stati tutti assolti perché dovevano rispondere solo per reati minori come depistaggi o ostacolo al corso della giustizia. Addirittura, a volte sono stati rinviati a giudizio persone o gruppi di opposta fazione politica, creando situazioni paradossali che mettevano i collegi giudicanti nell’assurda posizione di dover scegliere tra due alternative e per non sbagliare il processo si concludeva con un’assoluzione generale a danno della verità. Queste erano strategie studiate a tavolino per erigere il classico ed impenetrabile “muro di gomma” che ha sempre garantito l’impunità ai mandanti, ai loro fiancheggiatori e contro il quale si è sempre infranta la giustizia.
C’è da dire che la mentalità, le strutture investigative e d’inchiesta non erano pronte ad affrontare un simile fenomeno, erano adeguate per i piccoli reati compiuti da singoli o da piccole associazioni di criminalità minore: allora gli italiani erano generalmente onesti a differenza di oggi.
Testualmente: “Bisogna aggiungere che gli autori e le menti delle stragi erano talmente abili che lasciavano ovunque falsi indizi e false prove. Poi, una volta tornati nell’oscurità, attraverso organizzazioni ed enti di vario genere e natura, costruivano piste artefatte. Si confezionavano “pacchi” e “pacchetti”. I magistrati, in definitiva, nonostante fossero preparati in materia di diritto, non lo erano di fronte ad eventi di tale portata, che per essere compresi presupponevano ben altre strutture mentali e culturali. Non avevano una cultura storica, geopolitica e anche dell’intelligence. Le stragi, infatti, non sono mai state opera di gruppi improvvisati, ma i loro autori hanno sempre avuto dietro organizzazioni e istituzioni potenti. Internazionali e interne.”
Oggi abbiamo acquisito la mentalità che serviva negli anni ’60/’70 per comprendere quanto stava accadendo. Come allora, attualmente non abbiamo la mentalità adatta per comprendere il grande inganno che ci viene propinato quotidianamente, cambia solo che è su scala mondiale e adotta altri sistemi, sempre molto raffinati e all’avanguardia.
Bisogna fare attenzione anche ad un altro fenomeno che si sviluppa proprio in quegli anni: l’uso di droghe che ha falcidiato intere generazioni, l’obiettivo era e rimane quello di staccare dalla realtà gli individui rendendoli schiavi di illusioni ben confezionate e propinate quotidianamente.
Gli “slogan” ai quali ci hanno abituati negli anni di piombo sono stati “stragi di stato” e “strategia della tensione”. Ce li hanno serviti in tutte le salse, queste sono le “parole d’ordine” che passavano di bocca in bocca e sui giornali dal ’69 e prosegue martellante negli anni ’70: inquirenti, giornalisti, tutti i politici che si ammassavano intorno alle inchieste, fu anche l’epoca dei “santoni” che iniziarono a sentenziare.
Priore scrive: “E’ bene ricordare ancora una volta che l’espressione “strategia della tensione” era nata in luogo e tempi sospetti: nelle redazioni di una certa stampa britannica, in fibrillazione per i successi della nostra politica estera in Nord Africa e in Medio Oriente, e probabilmente in allarme per il golpe di Gheddafi in Libia, concepito proprio in Italia nella primavera-estate del 1969. A giudicare dalla durata dei suoi effetti, si trattò di un depistaggio dei più riusciti della storia dell’intelligence, attuato per spostare l’attenzione esclusivamente sul contesto interno italiano, escludendo qualsiasi coinvolgimento straniero nelle nostre vicende. E invece, come abbiamo visto, le centrali straniere che soffiavano sul fuoco delle nostre tensioni interne erano numerose. Questo non vuol dire che all’interno degli apparati dello Stato non vi fossero gruppi che facevano di tutto perché noi non arrivassimo alla verità. Depistaggi, false prove, scomparsa di testimoni e di documentazione erano all’ordine del giorno in qualsiasi grande inchiesta.”
Queste interferenze di cui parla il giudice si rivelano soprattutto nella strage di Ustica con la decimazione dei testimoni, la distruzione di documenti importanti e l’atteggiamento di totale chiusura del governo francese nei confronti della magistratura italiana.
Un altro argomento spinoso è quello dei “servizi deviati”, su questo argomento scrissi un articolo anni fa intitolato “I signori dell’Anello” una struttura interna alle Istituzioni ma particolarmente segreta utilizzata per i “lavori sporchi”, che godeva di coperture potenti che garantiva l’impunità.
Diciamo che vi era una situazione particolare date le circostanze geopolitiche di quel particolare periodo storico. La guerra fredda ha giustificato tante operazioni segrete che personalmente considero non fossero tutte organizzate dall’interno. Le condizioni stabilite con il trattato di Yalta sono state sostanzialmente rispettate dall’Urss; il PCI poco aveva a che fare con il comunismo russo e cinese invece emergono troppo spesso gli interessi degli alleati NATO in particolare l’Inghilterra, Francia e Stati Uniti ognuno ha spesso esercitato direttamente un’influenza destabilizzante e illegittima nella vita del nostro Paese.
Nei servizi segreti italiani sicuramente vi erano varie “parrocchie” che facevano capo al governo: Moro è stato considerato l’unico politico che riusciva a tenere le redini di questo particolare e delicato settore istituzionale ma, nonostante ciò, si verificavano pesanti interferenze da parte dei nostri tre principali alleati. Si gridava “al lupo” verso l’Est mentre i lupi - targati NATO - scorrazzavano in casa nostra liberamente.
I partiti italiani erano allora molto radicati nel territorio ma allo stesso tempo anche fortemente legati a interessi stranieri e a “reti” sovranazionali. Il problema invece consisteva nella presenza dei partiti nei servizi, nella diplomazia, nelle forze armate e nella stessa magistratura che subiva influenze esterne. Influenze che penso continuino tutt’ora.
Qual è il significato autentico delle stragi non rivendicate, le così dette “silenti”? Vi è una chiave di lettura estremamente interessante che riguarda questo fenomeno che è sfuggito all’attenzione dell’opinione pubblica e della stampa ma non ai suoi autori e ai destinatari del messaggio.
È fuor di dubbio che ogni strage rappresenti una comunicazione diretta tra gruppi di potere infatti anche se progettate e realizzate dalla nostra criminalità o da nostre organizzazioni terroristiche, quelle stragi sono sempre messaggi per i governi.
“Da Piazza Fontana in poi nessuna delle grandi stragi compiute in Italia è mai stata rivendicata, nemmeno quelle dei primi anni Novanta attribuite alla mafia.“
Qui occorre fare un distinguo tra coloro che commisero i reati e chi impedì la comprensione del messaggio.
“(..) Una cosa è la finalità della strage o di un grande attento terroristico, per esempio, l’assassinio di Moro, su cui si sono concentrati gli interessi di tanti stati e di tanti servizi. Altra cosa è la finalità del depistaggio che mira ad impedire che la verità emerga. Che si scopra l’insieme delle complicità. Per paura delle complicazioni internazionali che ne deriverebbero, a cominciare dalle rappresaglie nei nostri confronti da parte di coloro eventualmente indicati come gli autori o i mandanti.”
Per una sottile strategia da guerra psicologica posta in essere dai servizi spesso le responsabilità dei mandanti e dei depistatori si sono sovrapposte salvando entrambi. Ad esempio, Ustica non fu una strage ad opera di qualche terrorista ispirato e protetto dalla P2 e dai servizi deviati italiani, ma di potenze straniere nostre alleate e “amiche”. Era impossibili stabilire la verità e quindi la responsabilità di quei Paesi per le conseguenze che ne sarebbero derivate al nostro Paese. Quel giorno Gheddafi doveva passare per uno dei corridoi aerei “scoperti” dai controlli radar della NATO, i servizi italiani avvisarono del pericolo di un attacco aereo per cui il volo fu annullato. Quello sciagurato giorno, sulla scia del DC 9 dell’Itavia vi era sicuramente un caccia libico ma non Gheddafi, si presume che furono i francesi ad attaccare e che il pilota sapeva che avrebbe abbattuto anche l’aereo civile.
La “ragion di stato” ha prevalso sulla verità e la giustizia. Mi domando cosa sarebbe accaduto se l’Italia avesse attaccato e abbattuto un aereo civile durante un’azione di guerra in tempo di pace sul territorio francese o americano. Che senso ha considerare alleati e amici i paesi aderenti al Patto Atlantico se noi cittadini diveniamo gli ostaggi degli interessi militari, economici e politici di questi governi stranieri. L’Italia è il classico vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro, è un Paese stracolmo di segreti e soffocato da compromessi conclusi non sempre negli interessi della collettività.
Ma la verità deve uscire alla luce del sole altrimenti genera gravi patologie interne; scoprirla diviene un motivo di “salute pubblica” ma questa stranamente collide con il contenuto dei numerosi fascicoli che sono conservati gelosamente e che se aperti farebbero esplodere delle tragiche conflittualità a livello internazionale.
Eppure se si aprissero quei fascicoli conservati nel ministero degli Esteri, della Difesa, dell’Interno, di Armi e Corpi dello stato, dei partiti, dei sindacati, delle singole personalità che hanno guidato il nostro paese si arriverebbe forse a capire le “ragion di stato” ma non a perdonare. Poter aprire gli archivi dei paesi stranieri europei e oltre oceano dove vi sono depositate le ragioni storiche e politiche che hanno determinato tali segreti farebbe molto bene alla nostra “salute pubblica”.
Mentre per le altre democrazie occidentali la “ragion di stato” e “l’interesse nazionale” sono ben delineati, costanti e collegati a grandi disegni strategici ancorati a costanti storiche geopolitiche, in Italia sono legati alla presenza di personaggi di governo e alle condizioni politiche del momento.
Basta guardare quanto sta accadendo attualmente nel nostro paese dove prevalgono interessi di consorterie o di lobby al confronto dei quali il nostro interesse nazionale scompare.
Sento troppo spesso il termine “verità indicibili” legato indissolubilmente alla “ragion di stato” e “all’interesse nazionale”: su questo tripode però si reggono molte ingiustizie. C’è un’altra frase ricorrente, che la giustizia non è di questo mondo: se la giustizia non diviene cittadina a pieno titolo di questo mondo, che futuro ci aspetta?
Giovanni Falcone aveva capito cosa si nascondeva dietro l’apparenza: “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di cosa nostra e centri occulti di potere che hanno interessi deviati”.
Ci si accorge che di menti raffinatissime ce ne sono state moltissime che sono riuscite ad orientare con successo il destino di un popolo.