Contratto Sanità 2022-2024: l’ennesimo nulla di fatto. Il rinnovo è ancora in stallo, tra veti incrociati e posizioni inconciliabili

Dopo oltre un anno di trattative, l’ennesimo incontro tra Aran e i sindacati per il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto sanità 2022-2024 si è concluso con un nulla di fatto. Le distanze restano significative, i fronti spaccati, e il prossimo round è stato fissato per il 22 maggio. Ma la sensazione è chiara: si sta perdendo tempo, mentre 581.000 lavoratori del Servizio Sanitario Nazionale restano in attesa di risposte concrete.
Aran ha ribadito che l’accordo prevede un aumento medio di 172,37 euro al mese, pari al 6,8% per tredici mensilità, con una dotazione complessiva di 1,784 miliardi di euro. Sono previsti fondi specifici per il pronto soccorso (175 milioni), per l’indennità infermieristica (35 milioni) e per la tutela del malato (15 milioni). Il contratto introduce inoltre novità normative su formazione, tutele contro le aggressioni, incarichi professionali e conciliazione vita-lavoro.
A detta dell’Agenzia, la firma entro maggio sarebbe fondamentale per rendere operativo il contratto da ottobre. Ma c’è anche un’altra scadenza che incombe: i fondi devono essere spesi entro la fine dell’anno, pena il loro congelamento.
I sindacati contrari: “Non basta, servono garanzie e investimenti veri”
Fp Cgil, Uil Fpl e Nursing Up hanno rifiutato di firmare. La motivazione? Le proposte sono giudicate insufficienti, tanto sul piano economico quanto su quello normativo. Per Cgil e Uil, l’accordo non risponde alle esigenze reali del personale sanitario: mancano diritti esigibili, tutele reali e un adeguato riconoscimento salariale. Non è questione ideologica, affermano, ma di contenuti che ancora non ci sono.
Critiche dure anche sul ruolo del Governo, accusato di lavarsi le mani del problema e di non garantire il necessario impegno politico e finanziario per valorizzare chi ogni giorno garantisce la salute pubblica. Si chiede un’inversione di rotta netta: più risorse, meno promesse vaghe.
Di segno opposto la posizione di Cisl Fp, Fials e Nursind, che puntano il dito contro chi ha bloccato la firma. Per loro, l’accordo contiene già conquiste importanti: aumenti fino al 7% (circa 350 euro lordi), nuove tutele contro le aggressioni, accesso all’area di elevata qualificazione con 7 anni di esperienza, più ore di formazione e progressioni economiche rafforzate.
Il mancato accordo – denunciano – rischia di consegnare alla parte datoriale la gestione unilaterale delle risorse, impedendo l’attuazione delle nuove tutele. Ogni mese perso è un danno diretto per i lavoratori: niente arretrati, stipendi bloccati, nessuna tutela aggiuntiva. Per Cisl Fp, continuare a rinviare è “irresponsabile”.
Fials, pur consapevole delle criticità, si dice pronta a firmare. “In passato abbiamo firmato con condizioni peggiori”, è l’ammonimento. E Nursind avverte: i fondi vanno usati entro l’anno. Rimandare ancora potrebbe significare lasciare al Governo ogni decisione.
Totalmente contrario il giudizio del Nursing Up. Secondo il presidente Antonio De Palma, non solo le risorse sono scarse, ma anche la parte normativa è inaccettabile. Nessuna apertura sulla progressione di carriera per le professioni sanitarie, nessun riconoscimento agli operatori con titoli equipollenti, e – fatto ancor più grave – nessuna disponibilità da parte di Aran a rimettere in discussione le proprie posizioni. “Non ci sono le condizioni per firmare – afferma – e se il contratto resta così com’è, è meglio continuare la battaglia fuori dai tavoli”.
La trattativa è a un punto morto. Da una parte chi punta al compromesso per sbloccare subito le risorse, dall’altra chi chiede di più, ritenendo insufficiente l’attuale bozza. In mezzo, centinaia di migliaia di lavoratori che aspettano, frustrati, che la politica e le rappresentanze sindacali smettano di litigare e inizino a trovare soluzioni.
Il tempo stringe. Se il 22 maggio si ripeterà l’ennesima pantomima, il rischio è che l’intero percorso negoziale si sfaldi, insieme alla credibilità del sistema di contrattazione pubblica. A quel punto, nessuno potrà dire di non avere responsabilità. E i lavoratori resteranno – ancora una volta – a mani vuote.