Io ho paura di questa donna rappresentata nella foto, mentre spinge la carrozzina e sta attraversando i binari, come ho paura di tutte le donne musulmane che incontri per le strade di Milano, o in molte altre città italiane.

Le incontri in gruppo, oppure da sole con il figlio nella carrozzina, con il marito. Fanno acquisti al supermercato, curiosano tra gli scaffali dei grandi magazzini, salgono sul tram che le porta a casa.
La maggioranza indossa il velo islamico, altre il chador, raramente il niqab o il burka.
Apparentemente compiono gesti che, nella vita quotidiana, sono comuni alla maggioranza di noi.

Eppure, guardando queste donne musulmane, si crea dentro di me tensione, preoccupazione, angoscia, paura. Paura non per quello che indossano, ma per quello che rappresentano.

Queste donne costituiscono una minaccia, più letale di un atto terroristico. 


Queste donne sono il cambiamento, sono la radicalizzazione di uno stile di vita che non mi appartiene ma che con il tempo sarò obbligato ad accettare, anzi, già da ora, con cui devo convivere.

Queste donne rappresentano coloro che hanno scelto di vivere qui, nessuno di noi le ha chiamate.

 Queste donne non hanno nessun desiderio di integrarsi, anzi pretendono di imporre il loro modo di pensare.
Queste donne, tra poco tempo, ci imporranno di far loro più spazio, in quanto saranno sempre più numerose  insieme alla loro prole.

Queste donne sono una faccia dell'Islam, quella della sottomissione, sottomissione che l'Islam ci vuole imporre.

 E noi ci dovremo ritirare, in buon ordine, nelle aree che ci verranno assegnate, affinché i miscredenti  possano vivere senza contaminare il loro mondo.

Il terrorismo si può combattere e si può sconfiggere, ma quando masse di gente si impossessano della società in cui vivi, non puoi più né ribellarti né combattere.