In risposta allo stop immediato all'attacco di terra a Rafah, chiesto venerdì con una nuova ordinanza dalla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia, Israele ha risposto con una intensificazione degli attacchi su tutta la Striscia, mentre l'arrivo degli aiuti umanitari si fa sempre più complicato e difficile.

Così, nel nord, l'ospedale Kamal Adwan, assediato da giorni dall'IDF non è ormai più in grado di fornire alcun tipo di assistenza, nonostante al suo interno siano ancora ricoverati alcuni pazienti oltre a dei neonati nati prematuramente, in base a quanto denunciato dal dottor Hussam Abu Safiya, primario del reparto di pediatria.

Ma la scarsità di carburante fa sì che anche i pochi ospedali in tutta Gaza in grado di prestare soccorso ai malati e alle persone vittime dei bombardamenti israeliani siano ormai arrivati al limite delle loro possibilità, tanto che a Rafah non vi sarebbe più alcuna struttura in grado di fornire servizi sanitari.

Da non dimenticare neppure che lo Stato ebraico, mentre sta compiendo un genocidio nella Striscia con l'evidente intento di rioccupare e impadronirsi definitivamente di quel territorio (e dei diritti di estrazione del gas nel tratto di mare di fronte alla sua costa), alla Knesset si è votato perché Israele si opponga sempre e comunque a qualsiasi iniziativa internazionale che voglia mettere in atto una soluzione a due Stati (22 febbraio)  e a nuovi piani di insediamento in Cisgiordania. L'ultimo furto in tal senso approvato la scorsa settimana prevede che il territorio  a sud di Hebron venga considerato parte del Negev, in modo da legalizzare gli insediamenti illegali dei coloni ebrei in quell'area.

Senza citare, sempre in riferimento ai Territori Occupati, gli attacchi, le distruzioni, le uccisioni, i "rapimenti" messi in atto in quell'area dal morale esercito israeliano a partire dal 7 ottobre.

Le ordinanze dei tribunali dell'Aia possono fermare tutto questo?

È evidente che la risposta non può che essere negativa, finché gli Stati Uniti (in parte per supposte ragioni geopolitiche e soprattutto per i finanziamenti e i ricatti delle lobby sioniste) continueranno a difendere diplomaticamente lo Stato ebraico all'interno del Consiglio di Sicurezza dell'Onu.

E allora come fermare uno Stato canaglia come lo Stato di Israele?

Nell'unico modo possibile che il diritto internazionale suggerisce alle nazioni che cercano realmente il rispetto della democrazia e dei diritti umani: ricorrendo alle sanzioni.

Lo ha sottolineato quest'oggi anche Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, invitando la comunità internazionale a imporre sanzioni e a sospendere le relazioni diplomatiche con Israele, fino a quando non attuerà le ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia.

"Israele ha intensificato i suoi attacchi contro la città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, dopo che la Corte internazionale di giustizia gli ha ordinato di interrompere le sue operazioni nella città", ha detto sul suo account X. "Le notizie che ricevo dalle persone assediate nella città di Rafah sono orribili. Israele non fermerà questa follia finché non la fermeremo noi. Gli Stati membri devono imporre sanzioni a Israele, vietargli la fornitura di armi e sospendere le relazioni politiche e diplomatiche, finché non fermerà i suoi attacchi".

Perché tutto ciò non è ancora stato fatto nei confronti di una nazione che a Gaza sta commettendo dei crimini di guerra (sentenza CPI), tanti e tali che (sentenza CGI) esistono i presupposti perché possa essere ritenuta responsabile di genocidio nei confronti del popolo palestinese?

Una domanda da rivolgere sia ai democraticissimi Paesi occidentali che, soprattutto, ai Paesi presunti "fratelli" del popolo palestinese riuniti nella Lega araba.

Finora, l'unica nazione che ha imposto sanzioni a Israele è la Turchia del "dittatore" Erdogan. E tutto ciò è normale?