Ridere seriamente
Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che non si può vivere solo di ironia, satira e sbugiardamenti. Il panis et circens funziona sempre, ma a un certo punto ci si dovrebbe stancare rendendosi conto che non si vive solo di allegria e contentini. Queste cose si devono poi tradurre in dinamiche e potenze reattive che purtroppo avverto ancora piuttosto distanti.
La misura non è colma. Evidentemente.
Un francobollino di sana ironia l’ho dunque annidato anch’io nell’immagine di copertina. Divertente - forse - ma opportunamente crocettato per via di quelle dinamiche che, come dicevo, preferirei senz’altro osservare. Nell’interesse della critica, del dibattito, del dissenso, e di qualunque altra questione propedeutica alla potenza reattiva.
Se preferite anche del testo al francobollino, senza riflettere in quattro e quattr’otto, con tutto quel che succede capite che si gioca fin troppo facile…
Siamo lì per lì a farci assimilare dai neo-borg: i Cesaloni. Arrivano lolloreggiando brigidamente da triumvirati, per meriti familiari e cognatura briscola, offrendo immunità etnica allorché si zappi italianamente e alacremente vicino, lontano e nei campi di grano.Sicché, non si pensi di resistere! La resistenza è inutile, e si verrà assimilati in prevenzione della funesta “sostituzione etnica” ma… pardon, volevo dire un’altra cosa ma sono ignorante… comunque quella cosa che incipie sulla nostra razza superiore: invicta labore, ma sempre a zappare. Sia ben chiaro.Eccetera… (a piacere)
«Ridere, ridere, ridere ancora…», non ce lo ricorda solo il grande Vecchioni, al quale va anche un affettuoso abbraccio esteso a tutta la famiglia per la recente e prematura perdita del figlio Arrigo, ma ridere rimane una eccellente dote antropologica e un concetto filosofico e sociale di primaria importanza. Diffidate sempre da chi non ride, soprattutto di sé stesso. Però… però!
Quel “però” teniamolo in debita considerazione.
Secondo me può starci una maggior mano tesa verso alcuni soggetti e concittadini che ultimamente stanno subendo una dose eccessiva di apatia, cinismo e dispatia, riversata dai loro stessi simili che hanno barattato la solidarietà attiva con le quattro risate e il massacro social.
Le cronache parlano già abbastanza, e in molti recenti articoli ci ho provato anch’io. Quindi non ribadirei quelle situazioni ma mi soffermo su quanto appena detto. Se me lo permettete vorrei farlo anche attraverso un’antica allegoria che viene narrata in diversi modi, ma il finale conduce sempre alla medesima chiave morale. Io ve la racconterò a modo mio.
Kairos muore e va dritto in paradiso.Incontra san Pietro che lo accoglie e gli chiede: «Poiché tu hai uno spirito opportunista, e questo è il tempo della scelta suprema, io ti chiedo: vuoi restare qui in paradiso o preferisci l’inferno?».Kairos rimane un attimo perplesso e poi risponde: «Scusa, san Pietro, ma come faccio a scegliere senza poter dare nemmeno una sbirciatina?».«Eh, sapevo che l’avresti chiesto. Vieni con me». E conduce Kairos presso una grande stanza ovale con due porte. Ciascuna con la sua targa: “Paradiso” e “Inferno”. «Ti devo avvertire: se darai questa “sbirciatina” poi dovrai dirmi perché accade ciò che vedi. Altrimenti patirai l’oblio della non esistenza eterna», sentenziò san Pietro.«Va bene», rispose Kairos. «Guarderei prima la porta dell’inferno. Se è come si dice in giro è sicuramente più opportuno guardare le cose brutte per prime».San Pietro spalancò la porta dell’inferno, sicché Kairos potesse vedere bene ciò che avveniva oltre quella soglia.«Oh Dio!», esclamò Kairos. «Ma perché sono tutti così tristi, malaticci, pelle e ossa, se al centro della tavola c’è tutto quel cibo così invitante e succulento, che farebbe venire l’acquolina a chiunque?!».I commensali che vedeva Kairos erano seduti attorno a quella tavola, e ciascuno disponeva di un cucchiaio con un lunghissimo manico per arrivare al cibo. San Pietro richiuse la porta dicendo: «Eh già! Là dentro c’è qualcosa che non va, mio caro Kairos. Il cibo è davvero buonissimo, le posate non mancano, hanno praticamente tutto, ma muoiono ugualmente di fame e tristezza».Detto questo, aprì anche la porta del paradiso. Kairos si ritrovò davanti una scena praticamente identica, con l’eccezione dei commensali tutti allegri e pimpanti.«Rimango allibito! Ma perché da quest’altra parte, pur nelle stesse condizioni, sono tutti ben in salute e conversano tra loro allegri come una pasqua?».«Ora questo dovrai spiegarmelo tu, Kairos. Erano i patti». Dopo aver riflettuto un attimo, Kairos capì che c’entravano i cucchiai. I manici erano troppo lunghi per poter portare il cibo alla bocca, e quindi quello era il supplizio dell’inferno: avere il cibo ma non poterlo usare! Ma in paradiso perché, pur avendo le stesse posate, non pativano quel supplizio?Alla fine Kairos giunse alla soluzione, capendo cosa accadeva in paradiso con gli stessi lunghi cucchiai che, a differenza dell’inferno, non impedivano ai commensali di nutrirsi. Essi compresero semplicemente come usarli.
Chiaro, no? Mi sembra inutile riportare il finale in maniera puntuale. Questa allegoria è molto nota, e a chi non la ricordasse bene basta riflettere un millisecondo - come ha fatto Kairos - o con una googlata trovarne mille varianti.
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