Ci si potrebbe chiedere se sia possibile arrivare ad immaginare un qualsivoglia libro di fantascienza in cui una specie antropoide di qualche strano pianeta possa venir traumatizzata, a reti unificate, ed indotta a forme di comportamento coatto a causa di una malattia infettiva a bassa mortalità e, poi, che la stessa popolazione possa, poco dopo, venir incitata ad una guerra termonucleare il cui tasso di mortalità è invece prossimo al 100%. Riuscite ad immaginare un romanzo con una trama di tal genere? Scusate i miei limiti, ma io non ci riesco o, per meglio dire, se trovassi un libro di questo tipo penserei che l’autore è uno squilibrato o un demente. Dopo questa premessa accendiamo una televisione qualunque e ci troviamo proprio davanti al viso di Joe Biden il quale, il 6 ottobre 2022, ha bellamente annunciato, come se nulla fosse, la possibilità di “un Armageddon nucleare” nel caso ipotetico in cui Putin dovesse utilizzare armi nucleari tattiche in Ucraina! Questa dichiarazione, associata a quella della neoeletta primo ministro inglese Liz Truss la quale, alla fine di agosto, ha già dichiarato di essere ben pronta ad utilizzare le armi nucleari a sua disposizione, lascia assistere ad una serie di proclami politici che qualunque persona di buonsenso dovrebbe immediatamente rigettare e, invece, in questo particolarissimo momento storico, vengono fatti passare con una naturalezza che prevalica l’incoscienza.
Che è allora successo? Siamo forse caduti in qualche piega fantascientifica dello spaziotempo in cui la realtà diventa irrealtà e l’idiozia più assoluta diventa l’intelligenza più riverita? Di fronte alla parola “guerra termonucleare” qualunque persona, anche di buonsenso minimo, dovrebbe immediatamente fermarsi e dire: “no, questo non lo vogliamo”, perché nessuno può razionalmente aspirare alla distruzione dell’intera specie. I discorsi che, invece, propone la politica, sostenuta dai media generalisti, sono: “sì, la guerra è brutta, ma Putin è cattivo, dunque...”, come se parlassimo di una rissa in un locale notturno e non della distruzione del mondo intero! Stiamo qui riassumendo molto, ma non credo sia difficile trovare proprio quest’insulsa equivalenza nelle chiacchiere della televisione e della stampa non indipendente.
Trattare l’argomento di una guerra nucleare come se questo fosse una semplice equivalenza tra “tu fai A ed io faccio B” significa, oltre a non aver imparato nulla dalla storia posteriore all’invenzione delle terrificanti armi nucleari, anche la chiara volontà di trovarsi dalla parte dei distruttori di mondi contro cui ammoniva lo stesso J. Robert Oppenheimer, l’allora direttore del progetto Manhattan, quando assistette, il 16 luglio del 1945, alla prima detonazione atomica nel deserto di Alamogordo nel Nuovo Messico. Il mese successivo altri due ordigni annientarono, con un lampo, le due grandi città di Hiroshima e Nagasaki. È qui essenziale ricordare che queste prime due armi atomiche avevano una capacità distruttiva di almeno cento volte inferiore a quelle moderne. Questa è una storia che tutti dovrebbero sempre tenere a mente e invece...
La domanda qui diventa allora: ci troviamo forse, ancora una volta, in un periodo storico in cui il delirio collettivo prevale sulla razionalità individuale? La nostra epoca sta forse di nuovo urlando sotto i balconi di palazzo Venezia senza nessuna voce umana di pace capace di arrestare il boato di quest’ennesimo delirio di sangue? In un essenziale carteggio del 1932 tra Sigmund Freud ed Albert Einstein, dal semplice titolo di Warum Krieg? (Perché la guerra?), i due grandi geni dell’umanità si ponevano proprio di fronte alla questione da un punto di vista fondamentale. Il testo è da leggere e da consigliare, ma qui vorrei solo proporre una tra le tesi che questo contiene. Nella lettera del 30 luglio è proprio Albert Einstein ad avviare il discorso, scrivendo a Freud da Caputh, vicino Potsdam, mentre la Germania, da cui da lì a poco lo scienziato avrebbe per sempre preso commiato, sprofondava sempre più nel delirio nazista e, parlando della classe dominante, riflette: “Penso soprattutto al piccolo ma deciso gruppo di coloro che, attivi in ogni Stato e incuranti di ogni considerazione e restrizione sociale, vedono nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un’occasione per promuovere i loro interessi personali ed ampliare la loro autorità.” Il grande fisico continua, con il suo proverbiale acume, chiedendosi ancora: “com’è possibile che la minoranza ora menzionata riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e da perdere?” Poche righe sotto Einstein proverà anche ad indicare la causa di questo moto contro il proprio interesse da parte delle masse: “Una risposta ovvia a questa domanda sarebbe che la minoranza di quelli che di volta in volta sono al potere ha in mano prima di tutto la scuola e la stampa (...). Ciò le consente di organizzare e sviare i sentimenti delle masse rendendoli strumenti della propria politica”. Alla fine Einstein, e questo ancor prima che esistessero le armi di distruzione dell’intero pianeta sulla cui potenza mortale nessuno dovrebbe avere alcun dubbio, si pone la domanda più importante: “com’è possibile che la massa si lasci infiammare con i mezzi suddetti fino al furore dell’autoimmolazione (Selbstaufopferung) di sé?”
È tragico, quasi fantascientifico, che novant’anni dopo, la stessa domanda si possa riproporre nella sua interezza, come se l’inchiostro non si fosse ancora asciugato sulla pagina di quella memorabile lettera.