Cultura e Spettacolo

In parti (dis)uguali

Quando c’è da spartire qualcosa salta fuori ogni genere di pretendente. Accade più spesso quando un personaggio famoso, e facoltoso, passa a miglior vita. E molti s’indignano per l’offesa che taluni parenti e pretendenti recano alla memoria di quella persona, strappandosi le vesti nella aule giudiziarie per una quota di legittima in più!

Persone che sono state madri e padri talvolta esemplari, e magari con già la morte nel cuore al pensare di dover bilanciare i propri averi ripartendoli come giustizia impone. E giustizia non è quella frase fatta che dice “i figli sono tutti uguali”. Figli o altri parenti che siano, ma noi usiamo i primi per semplificare.

Non esiste uguaglianza tra i figli, che non sia quella morale per cui un genitore continuerà sempre ad amare e soffrire, anche quando tra essi vi è qualche pecora nera. Il genitore rincorrerà i propri pensieri, e probabilmente si chiederà mille volte dove avrebbe sbagliato, e fino all’ultimo giorno, un buon genitore, proverà a riportare nel “gregge” le sue pecorelle smarrite. E nel frattempo si schiatta di crepacuore.

Soffrono per questa ragione come per quelle materiali, come appunto i lasciti, le ripartizioni, l’identificare i più o meno meritevoli, quando magari si vorrebbe solamente ripartire tutto in perfetta divisione. Parti uguali, dice sempre il cuore. Ma è giusto – si chiede il genitore – che siano parti uguali quando tra questo gregge alcuni si sono resi più degni di altri? Non è l’affetto, la morale, gli insegnamenti, il bene incondizionato, che gli si chiede di ripartire, ma delle mere materialità che non rappresentano nulla di tutto ciò. Premi, insomma, che vanno meritati. Come quelli che si ricevevano da piccoli quando ci si comportava bene.

Quanti figli hanno ricusato i loro facoltosi genitori, che pur non facendogli mancare nulla ed esaudendo ogni loro capriccio, e facendogli ottenere la migliore istruzione, sono stati alfine tacciati di non essere stati presenti, aver agito in maniera anaffettiva, essersi disinteressati alla loro esistenza morale, sentimentale e spirituale.

Ed è così! Hanno avuto ragione.
Perché non è con la materialità che si ama un figlio, ma con tutt’altro. E il figlio se ne accorge.

Ecco perché il genitore non deve curarsi molto della sua eredità materiale. Se la sua coscienza è in pace sul versante dei doveri morali, allora non si dia pena nel ripartire i propri beni (premi!) in maniera diversa, tra figli che hanno voluto – per loro scelta e non per educazione – essere diversi nel tendere a quella materialità. Nel meritarla: rendendosene degni prima, e grati poi.

Ciò che un genitore deve ulteriormente considerare, per non eccedere in questa premialità, è la cura che ogni figlio non debba patire una riduzione più grande di quello che è stato il suo eventuale disinteresse alla morale familiare. E, soprattutto, curarsi che anche gli altri figli concordino nel ricevere un’eredità più consistente, poiché i lasciti non sono atti unilaterali ma necessitano di accettazione da parte di chi li riceve.

Oggi ho assistito a un giudizio poco edificante e immeritato verso un genitore che ha preso le sue legittime decisioni testamentarie. Quel genitore aveva la morte nel cuore, non stava agendo per vendicarsi di eredi indegni, ma per premiare chi si era reso molto più degno compensando le profonde mancanze degli altri. E quando un genitore premia in una circostanza del genere, sa comunque che sta indirettamente punendo. E’ sempre doloroso.

Spesso assistiamo a gossip di questo tenore, e abbiamo il giusto atteggiamento nel pensare subito alla memoria offesa di chi ci lascia. Dobbiamo farlo anche quando tocca a Mario, il nostro vicino, di cui conosciamo qualcosa ma non proprio tutto.

base foto: Allegoria della pace e della giustizia, Corrado Giaquinto (1753-54), foto di Sailko (licenza CC v. 3)

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Autore P. Giovanni Vullo
Categoria Cultura e Spettacolo
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