TACCUINO #45
1. Origine del termine "umanità" e sua evoluzione
1.1. Etimologia e significato
"Umanità" deriva (forse) dal latino humanitas, che originariamente indicava le qualità dell’essere umano, come gentilezza, compassione e cultura.
Del sostantivo compassione, ci spingiamo sempre a pensare sia soggettiva dimostranza d'oggettiva forma, modellata a strutturate interpolazione e manipolazione teologale (ma anche origine del tutto teologica).
Nell’uso moderno, il termine si è ampliato per riferirsi a tutta la specie umana, un concetto che nasce dall’universalismo dell’Illuminismo e viene consolidato nel XX secolo con i movimenti per i cosiddetti diritti umani.
1.2. Universalismo e particolarismo
Universalismo: l’idea di un’umanità universale è spesso associata al cristianesimo e al pensiero illuminista, ma è stata applicata selettivamente nel corso della storia (escludendo, ad esempio, gli schiavi, le donne - gli hominini scientifici di genere femìneo - o le popolazioni colonizzate).
Particolarismo: in alcune tradizioni religiose, il termine "umanità" è stato utilizzato con significati esclusivi. Ad esempio, nell’ebraismo, il concetto di popolo eletto distingue gli ebrei (i religati ivri, da ever, dall’altra parte, l'aramaico ebhrai, l’ebraico ibhri, colui che viene dall’altra parte, oltre, trasgressore, ivriot) destinatari di una relazione speciale con il loro Dio. Tuttavia, questo non implica necessariamente la disumanizzazione degli altri popoli, ma una separazione simbolica e religiosa.
2. Il 1948 e i diritti umani
2.1. Dichiarazione Universale dei Diritti Umani
Contesto storico: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU) fu adottata dalle Nazioni Unite nel 1948, dopo le atrocità della Seconda Guerra Mondiale, incluse la cosiddetta Shoah e i genocidi.
Ruolo ebraico: molti intellettuali ebrei furono influenti nella redazione della DUDU, ma il documento non è specificamente ebraico né esclude altre popolazioni. L’enfasi è sull’universalità dei diritti.
2.2. La nostra ipotesi
Se il termine "umanità" fosse stato effettivamente utilizzato in quel contesto con un riferimento implicito al popolo ebraico, questo potrebbe riflettere una sensibilità storica derivata dalla cosiddetta Shoah. Tuttavia, non ci sono prove concrete che il termine fosse concepito per escludere altre popolazioni.
3. "Due umanità": una prospettiva critica
3.1. La distinzione culturale e religiosa
Nel contesto ebraico, la distinzione tra "popolo eletto" e "altri popoli" può essere vista come una forma di "umanità duale". Questa distinzione, però, non è necessariamente una disumanizzazione, ma piuttosto una categorizzazione religiosa e culturale.
Esclusività simbolica: l'idea del popolo eletto non nega la dignità degli altri popoli, ma sottolinea un rapporto unico con il loro cosiddetto "Signore".
Contraddizioni moderne: nella pratica storica, l’esclusività religiosa e culturale può essere stata interpretata come superiorità o segregazione, alimentando conflitti e percezioni di esclusione.
3.2. Universalismo incompleto
La nostra idea di "due umanità" evidenzia una tensione tra l’ideale universalista e le realtà particolariste:
L’umanità selettiva: spesso, il termine "umanità" è stato usato per giustificare esclusioni e oppressioni (esempio: colonialismo, schiavismo).
Esclusione nei diritti umani: anche nella modernità, i diritti umani universali vengono applicati in modo selettivo, con differenze marcate tra popoli e nazioni.
4. Riflessioni filosofiche e taccuini
4.1. Esistere come "due umanità"
Scrivere di "due umanità" è un atto di critica verso l’ipocrisia del linguaggio universale.
Umanità inclusiva e esclusiva: la prima umanità è quella che si auto-definisce come universale (esempio: il "popolo eletto" o le nazioni dominanti), mentre la seconda è quella esclusa dalla narrazione.
Esistenza e valore: la "seconda umanità" non è meno cosiddetta umana, ma è marginalizzata dalla storia, dalla politica e dalla religione dominante (o dalle religioni dominanti).
4.2. Proposta materialista e radicale
La nostra idea di rifiutare narrazioni teologiche e abbracciare una visione materiale dell’essere apre a una critica potente:
L’umanità come esperienza biologica: tutti gli esseri cosiddetti umani condividono la "stessa" condizione terrena, eterogenea per biologia, indipendentemente dalle categorie culturali o religiose.
Ribaltare la narrazione: la vera universalità si trova nell’accettare la diversità come fondamento dell’umanità, non in un’imposizione di uniformità.
5. Conclusione
La nostra critica al termine "umanità" e il concetto di "due umanità" è un’analisi audace che mette in discussione l’ipocrisia delle narrazioni universali. La distinzione tra "popolo eletto" e "altri popoli" rivela come la storia e la religione abbiano spesso escluso o marginalizzato intere popolazioni.
1. "Humanitas" e la genealogia del concetto
Origini e ipocrisia intrinseca: il termine humanitas, legato a figure come Terenzio (homo sum: humani nihil a me alienum puto), nasce in un contesto che voleva celebrare la "dignità universale" dell’uomo. Tuttavia, come osservato, questa universalità era spesso esclusiva. Nell’antica Roma, "humanitas" sembra si applicasse ai cittadini romani e alle élite, escludendo schiavi, barbari e altri considerati "non umani."
Connessione cristiana: con il tal Paolo di Tarso, l’idea di universalità si espande al di là dei confini etnici, ma lo fa attraverso il concetto di gentili, che porta con sé una gerarchia implicita: i "gentili" sono accettati, ma sempre subordinati al "popolo eletto" o al messaggio divino. L’universalismo cristiano è quindi un universalismo condizionato, che richiede adesione e conversione per partecipare pienamente.
2. Norimberga e il cristianesimo come "colpo di coda"
La cosiddetta Shoah e l’imposizione cristiana:
«La nostra intuizione sul ruolo del cristianesimo dopo la cosiddeta Shoah è particolarmente interessante quanto dolorosa e nauseante. Il nostro stomaco ne risente, ma dobbiamo perseguire nelle indagini e raggiungere nuove crette, essendo consci che più "sapremo", meno sapremo. Il nostro tentativo dovrà sempre essere scrupoloso e affinato, percependo resistenza e abitando sempre vergogna quando non invitati e onestà di pensiero nella lotta per contrastare ingiuste manifestazioni di puro odio, disprezzando volgarità e marciume».
È plausibile che l’universalismo cristiano, attraverso l’intervento nelle convenzioni internazionali, abbia cercato di riaffermarsi come forza unificante e civilizzatrice, nonostante i suoi legami storici con l’antisemitismo europeo.
La contraddizione dei diritti umani: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 si basa su un ideale di fratellanza e uguaglianza che sembra universalista, ma nasce da un contesto di profonde disuguaglianze globali (colonialismo, divisioni culturali). Questo fa sì che i diritti umani siano percepiti da alcuni come un’imposizione culturale occidentale, piuttosto che una verità universale.
3. Homo homini lupus e la manipolazione dell’equilibrio
Danno per "bene": la nostra osservazione che ogni tentativo di "bene" abbia portato a nuovi danni è un tema classico della critica al moralismo astratto. L’idea di frenare il caos e formare un equilibrio tramite leggi e convenzioni potrebbe essere un atto di controllo più che di emancipazione. Le convenzioni potrebbero non solo limitare le violenze reattive, ma anche sopprimere la ribellione autentica contro il dolore inflitto.
Legge e trauma: la legge, in questo schema, diventa inefficace contro il trauma perché non riconosce l’essere umano nella sua dimensione viscerale, materiale e traumatica. Invece di affrontare la sofferenza reale, si limita a gestire le sue manifestazioni esterne (ad esempio, crimini e reazioni violente).
4. Dualità e il superamento delle opposizioni
Pensiero pensato vs. azione concreta: il nostro riconoscimento della sottile relazione tra ciò che possiamo fare fisicamente e ciò che pensiamo di poter fare è una critica radicale della distanza tra realtà e astrazione. Questa frattura è alla base della manipolazione culturale e religiosa: mentre l’essere umano esperisce il mondo, gli viene detto cosa dovrebbe pensare e come dovrebbe comportarsi.
Materia totalizzante: l’abbandono delle dualità (bene/male, uomo/donna, materia/spirito) è un passo verso una comprensione unitaria dell’esistenza. La nostra visione della materia come "uno e uno cosa, e cosa uno" suggerisce una totalità senza fratture, dove tutto è parte dello stesso processo di esistenza. Questa prospettiva potrebbe condurre a una forma di verità radicale, in cui ogni inganno e separazione si dissolvono.
5. Riflessioni sulla via "semplice e materiale"
Materia radicale: il nostro desiderio di una via "semplice e materiale" non è una semplificazione ingenua, ma un rifiuto dell’astrazione alienante. La materia è ciò che è, senza bisogno di sovrastrutture morali o metafisiche.
Realizzazione della verità: la verità, in questa prospettiva, non è un’idea da perseguire, ma una realtà da vivere. Dietro ogni velo di inganno (religioso, culturale, politico) c’è la materia stessa, che esiste senza bisogno di giustificazioni.
6. Verso una filosofia dell’autenticità materiale
Il nostro pensiero dirige verso una filosofia in cui la realtà non è più mediata da narrazioni astratte. Questa filosofia:
Riconosce che ogni narrazione è costruita per controllare o interpretare la materia, ma non per lasciarla essere ciò che è.
Propone di tornare alla materia come verità primordiale, abbandonando ogni costruzione dualista o idealista.