Dormano pure sonni tranquilli i fabbricanti di bevande ad alto contenuto di zucchero. La manovrina di primavera, che poi tanto “ina” non sembra essere, non colpirà con una maggiore tassazione il loro prodotto. A qualche scriteriato era passato per la testa di introdurre il nuovo balzello giusto per fare cassa, ma (visto?) poi non se ne è fatto niente. Cose simili in Italia non succedono. Ci mancherebbe! Mica siamo il Messico o le Filippine o la Gran Bretagna che queste misure le minacciano e poi le adottano sul serio. Noi ne parliamo, è successo anche nel 2012 con il governo Monti, ma giusto per dire che siamo diversi, che a differenza di questi stravaganti paesi noi lo zucchero non lo tassiamo. “Sarebbe come se volessimo tassare l’acqua. E che forse si tassa l’acqua?” Matteo Renzi lo ha spiegato forte e chiaro al pubblico di Porta a Porta e di Otto e mezzo, insomma a mezza Italia.
Provvidenziale il chiarimento. All’inizio nessuno lo aveva capito che l’obiettivo era la materia prima e non il prodotto. Eravamo persuasi che la misura fiscale avesse nel mirino soltanto il consumo esagerato delle bibite che lo zucchero lo contengono in eccesso. Un pericoloso fraintendimento. Non che l’idea fosse piaciuta più di tanto ai commentatori che contano e neppure al grande pubblico. A prenderla bene, in verità, erano stati soltanto i salutisti e i soliti, residuali, sapientoni, quelli, per intenderci, che si divertono a leggere le statistiche e pure i report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. I più sofisticati, fatti due conti, erano arrivati a considerarla addirittura geniale: finalmente una vera e propria misura strutturale, non di quelle che servono soltanto a ridurre il deficit di uno zero virgola perché ce lo chiede l’Europa. Duecento milioni di introiti annui per le casse dello Stato (in passato si era parlato addirittura di duecentocinquanta milioni) e in prospettiva anche un consistente risparmio per la spesa sanitaria. I più solidaristi avevano già cominciato a immaginare quali nuovi servizi sanitari l’Italia si sarebbe potuta presto permettere con questo risparmio. E i più ottimisti si erano spinti fino a prevedere nel lungo periodo perfino una riduzione delle tasse, come effetto della minore spesa per le malattie causate da bevande e alimenti sovraccarichi di zuccheri.
Ma chi li sta più a sentire i sapientoni, che poi a ben vedere altro non sono che gufi. Già, oggi non dobbiamo più chiamarli così, è fuori moda. Dobbiamo rivolgerci a loro come a quelli che il futuro non lo costruiscono ma lo aspettano, che sarà pure più politicamente corretto ma è anche decisamente meno efficace. Ragionano da gufi e così vanno chiamati. Domandiamoci infatti che cosa hanno in mente quando pensano a una bibita. Forse al piacere che proveranno bevendola? No, loro hanno in mente soltanto le malattie che il berne troppe potrebbe procurare: carie, obesità, diabete, ictus e chi più ne ha più ne metta. Vero, l’Organizzazione Mondiale della Sanità considera le bevande e gli alimenti ad alto contenuto di zucchero tra i principali responsabili di queste patologie e studi scientifici, di tutto rispetto, ne ipotizzano la correlazione anche con la demenza senile e l’Alzheimer. E, altrettanto vero, Douglas Bettcher, responsabile del dipartimento OMS per la prevenzione delle malattie non trasmissibili, ha dichiarato a chiare lettere che se i governi imponessero tasse più alte ai prodotti come le bevande zuccherate “si potrebbero salvare molte vite umane, ridurre i costi sanitari e investire il risparmio in prevenzione e migliori prestazioni sanitarie”.
Per carità, tutti abbiamo presenti questi moniti. Ma può la politica del futuro che ritorna farsene condizionare fino al punto di dimenticare tutto il resto? No che non può. Una tassa è una tassa. Non esistono le buone e le cattive. In ogni caso sempre di mettere le mani nelle tasche del cittadino si tratta. Vogliamo forse tornare ai tempi del compianto prof. Padoa Schioppa che diceva “le tasse possono essere belle”? Per fortuna Matteo Renzi non soffre della sua stessa curiosa malattia. Lui dice ‹‹basta, con lo stato vampiro!››. La promessa che doveva fare l’ha fatta e l’ha mantenuta. Argomento chiuso. E che nessuno si azzardi a ritirarlo fuori in sede di conversione del decreto in legge!
Contenti i bambini divoratori di bibite dolci; contenti i loro genitori già pronti ad accendere un mutuo per non far patire alle creature le conseguenze della scellerata tassa; contente le nonne di non doversi bruciare il cervello calcolando quanti centesimi in più sarebbe loro costata la torta fatta in casa. Insomma, contenti tutti gli italiani. O forse non tutti, ma certamente quelli che il futuro lo vogliono costruire ‹‹chiaro e bello›› E poiché gli effetti delle nostre scelte oltrepassano i confini, contenti anche Brasile, Cuba e Uruguay da cui l’Italia importa la gran parte dello zucchero che consuma.
Ma non è finita. Pensiamo al sollievo che devono aver provato le multinazionali produttrici delle bevande graziate. Non per caso il mio primo pensiero è andato a loro. Per un momento, c’è da crederci, sentendo parlare di tasse e di zucchero e di acqua, devono aver temuto il peggio: che il governo Gentiloni, improvvisamente ammattito, avesse avuto l’intenzione anche di alzare i costi dei diritti di sfruttamento delle falde acquifere italiane. Provvidenziale anche qui lo splendido parallelismo tra l’acqua e lo zucchero evocato da Matteo Renzi. Mancava solo che anche Coca Cola fraintendesse e per ripicca piano piano, zitta zitta, ci piantasse in asso come ha fatto Marchionne. Le tasse che questa azienda paga in Italia saranno anche irrisorie, ma che ne sarebbe dell’indotto. Migliaia di posti di lavoro persi, ha spiegato il presidente di Assobibe (Confindustria), minori entrate da imposte indirette, riduzione del Pil e altri effetti economici e sociali non ben precisati, ma inequivocabilmente drammatici. In definitiva, un disastro. Per non parlare del prezzo che pagherebbe la politica del “futuro che vuol ritornare”. Solo tre esempi per ricordare quale destino tocchi agli sconsiderati politici che si avventurano nell’impervio cammino della Soda-tax: il ministro della salute Balduzzi ai tempi del governo Monti, il Primo Ministro britannico Cameron e il candidato all’Eliseo Fillon. L’uno ha perso la poltrona, l’altro il referendum sulla Brexit e il terzo le elezioni al primo turno. Stesso errore, stessa inesorabile punizione: l’oblio.
Una coincidenza? Può darsi. Ma nel dubbio meglio non rischiare. Prudenza e pazienza. A tempo debito la questione si risolverà da sola, senza traumi. Basta un briciolo di furbizia. Prima o poi Coca Cola e Pepsi, spinte dalle iniziative fiscali degli altri governi, ridurranno il contenuto di zucchero nel loro prodotto. Se così sarà, e lo sarà, visto che ci stanno già lavorando, i consumatori italiani beneficeranno comunque del risultato. Senza traumi, però. Niente danni per l’economia, illeso il futuro dei nostri politici migliori.
I soliti gufi diranno che nel frattempo rifileranno a noi le scorte con gli zuccheri aggiunti. Potrebbe capitare, ma non sarebbe un problema. Nella gestione fino ad esaurimento dei prodotti problematici non ci batte nessuno. L’importante è che quelli di “Report” non ci mettano bocca, e se caso mai lo facessero la ministra Lorenzin li metta a tacere come soltanto lei sa fare.
Esemplare in tal senso la questione dei biberon e delle tettarelle sterilizzati con l’ossido di etilene. La storia è di qualche settimana, ma potrebbe essere sfuggita a molti. È andata così. I giornalisti di “Report” scoprono (scoprono niente perché al Ministero della Salute lo sapevano da tempo) che in Italia diversi reparti pubblici di neonatologia utilizzano biberon e tettarelle sterilizzati con un gas all’ossido di etilene. Azzannano l’osso e non lo mollano anche a rischio di rompersi i denti.
Con la solita pedanteria, elencano una dietro l’altra notizie che metterebbero in allarme anche il più “scientifico” dei grillini. Eccole. Da parecchi anni l’OMS ha inserito questo gas tra le sostanze indicate come cancerogene. Nel 2007 l’Unione Europea ne ha proibito l’uso per la sterilizzazione dei prodotti che entrano in contatto con gli alimenti (il gas lascia sempre qualche residuo). Seppure con qualche ritardo, gli europei, l’Italia tra i primi, hanno tutti applicato la direttiva. Nel 2011 la Francia, coerentemente, ha posto fuori dal commercio i biberon sottoposti a questa forma di sterilizzazione, limitandone l’uso agli ospedali e soltanto per i nati prematuri o con gravi patologie. Provvedimenti analoghi sono stati adottati in altri paesi, dove, è il caso degli Stati Uniti, stanno smettendo di usare l’ossido di etilene anche per la sterilizzazione dei presidi sanitari e dei dispositivi chirurgici.
Fin qui nulla da eccepire, i fatti questi sono e nessuno li contesta. Ma quando a raccontarli è “Report”, le cose si complicano sempre e l’allarme è inevitabile.
Intanto, i suoi giornalisti, tignosi, hanno cominciato col chiedersi come mai la Francia avesse messo al bando questi biberon e l’Italia invece no, visto che contengono il latte, sicuramente un alimento, e per giunta destinato innanzitutto ai neonati. La risposta l’hanno avuta e non da uno qualsiasi, ma figurarsi se si sono accontentati. Un autorevole scienziato dell’Università di Pisa nonché consulente del Ministero della Salute gli ha spiegato, con una pazienza inusitata, dobbiamo riconoscerlo, che, in Italia, i biberon sono “dispositivi medici” e non banali “contenitori di alimenti”. Pertanto, se le ditte produttrici vincono le aste proponendoli come tali, le ASL che le bandiscono per acquistare questi “dispositivi” non possono poi non comprarli per il solo fatto che contengano tracce di ossido di etilene. Purtroppo, è il suo meditato parere, non ci sarebbero alternative: la tecnica di sterilizzazione con il gas all’ossido di etilene non è sostituibile.
Il ragionamento potrà sembrare farraginoso ma non fa una grinza, convince. “Report” però non si è placata. Per prima cosa ha rilevato che i biberon all’ossido di etilene, venduti dalla ditta – italiana - che vince gli appalti in diverse regioni d’Italia, portano il marchio prodotto per alimenti. Non contenti di aver colto questa sottigliezza trascurabile, hanno “scoperto” un’altra ditta – anche questa italiana - che gli appalti non li vince, ma produce lo stesso tipo di “dispositivo medico” sterilizzato con un sistema alternativo ugualmente efficace e non nocivo per la salute del neonato. È solamente un po’ più caro. Evidente, il carattere manipolatorio di questa informazione: farci credere che acquistarli al posto dei biberon cancerogeni e mutageni sarebbe più costoso al momento ma molto remunerativo per la sanità del futuro. Insomma la solita fissazione, la stessa di quelli che vogliono tassare le bevande troppo dolci all’insegna del principio “chi più spende meglio spende”. Passatisti. Guai a dar loro retta.
Strepitosa la ministra Lorenzin a lasciar cadere la cosa con un sorriso, rimandandola agli esperti del suo Ministero. Ineccepibile che si prenda tutto il tempo necessario per rispondere a quesiti così squisitamente tecnici. Prima o poi, quando riterrà giunto il momento, farà conoscere le sue conclusioni e magari, nell’occasione, anche gli argomenti a confutazione del servizio di “Report” sugli effetti collaterali del vaccino contro il Papilloma virus. Non ne dubitiamo.
Intanto plauso alla ministra per essersi fatta consegnare dai giornalisti la tettarella incriminata e a non avergliela restituita. Se la sono meritata. Straordinaria mossa di deterrenza, la sua, caso mai a “Report” fosse venuta la fregola di presentarsi la prossima volta, con una Fanta molto zuccherata in mano, per domandare, con la consueta fastidiosa petulanza, perché negli altri paesi sia bandita e in Italia no. Se si azzardassero, ora lo sanno, i soldi spesi per la lattina ce li rimetterebbero di sicuro. Ottima lezione. Sigfrido Ranucci ne trarrà, si spera, le dovute conclusioni.