Ieri sera, come prevede la Costituzione, con le dimissioni del premier Giuseppe Conte nelle mani del Capo dello Stato è stata posta la pietra tombale sull’esperienza del governo gialloverde.
Oramai da due settimane gli italiani erano costretti ad assistere alla tragicomica farsa di una crisi, innescata formalmente da Matteo Salvini con la mozione di sfiducia nei confronti del premier Conte, ma appesa al filo delle stramberie che Salvini ha continuato a rimestare di ora in ora.
Sono stati giorni in cui è emersa, in tutta la sua penosa evidenza, la pochezza politica, umana e culturale del ganassa meneghino.
Ha attivata una crisi rivendicando nuove elezioni senza spiegare, però, perché il Paese avrebbe dovuto tornare alle urne dopo soli 16 mesi dal 4 marzo 2018.
Mi domando: forse che i risultati ottenuti alle elezioni europee dalla Lega hanno fatto perdere la trebisonda al Matteo padano che, nel suo delirio di onnipotenza sovranista e fottendosene delle vere difficoltà del Paese, vorrebbe solo che gli italiani gli conferissero “pieni poteri” per poter fare a pezzi Costituzione, Istituzioni e democrazia ?
Se così fosse, perché il ganassa non ha avuto il coraggio di spiegarlo con chiarezza agli italiani ?
Peraltro, invece, non appena si è reso conto, innescata la crisi, che non solo avrebbe difficilmente ottenuto il ritorno agognato alle urne, ma più probabilmente gli avrebbero sfilato da sotto il deretano la poltrona di ministro dell’interno, nell’indegno espediente di fare marcia indietro Salvini ha dato libero sfogo ad un rosario di capriole, inversioni ad U, giravolte, tutte rabberciate quanto ingannevoli (NdR: tra l’altro in tasca di rosari ne ha di ogni tipo e forma ad captandum vulgus).
Purtroppo per lui, incapace del pur minimo procedimento logico e non potendo infinocchiare l’aula del Senato con panzane e slogan, di cui è maestro e con cui eccita le masse di baggiani che lo stanno ad ascoltare, il fiasco sarebbe stato inesorabile.
E così è stato, e mò…?
Ora la crisi politica è conclamata e nelle mani del Capo dello Stato è finita una complicata gatta da pelare.
L’ipotesi più gettonata sembrerebbe essere quella di una possibile coalizione giallorossa, tra PD e M5S, per formare il nuovo governo.
I numeri in campo sono – Camera: 220 deputati M5S e 111 PD, Senato: 105 senatori M5S e 51 PD.
Numeri troppi risicati, soprattutto al Senato, per garantire vita certa e durevole ad un eventuale governo, per cui risulterebbe inevitabile coinvolgere nella coalizione altre forze politiche.
Non solo, ma i pentastellati, già reduci da 14 mesi di completo asservimento ai voleri salviniani, pur essendo maggioranza relativa in Parlamento, potrebbero non essere disponibili oggi a sottomettersi ai cinque pilastri fissati dalla direzione PD.
Non resterebbe, dunque, al Capo dello Stato che sciogliere le Camere ed indire nuove elezioni.
Una prospettiva drammatica per il Paese in presenza della congiuntura economica difficile, non solo a livello europeo, e della necessità di effettuare una manovra lacrime e sangue, tassativa anche per scongiurare gli aumenti devastanti dell’IVA.
Non escluderei, infine, anche una ultima ipotesi: il possibile ritorno di fiamma tra M5S e Lega che, di certo, farebbe il gioco del ganassa meneghino ma, nel contempo, rassicurerebbe le ambizioni personali del guaglione di Pomigliano d’Arco che, nel governo giallorosso difficilmente troverebbe spazio.