Vittorio Sgarbi e il mestiere di offendere. Dai timidi insulti degli anni '80 ai riprovevoli video su Di Maio
Continua senza interruzione la campagna denigratoria messa in atto da Vittorio Sgarbi contro Luigi Di Maio: una raffica di frasi sconclusionate e di insulti tesi ad attaccare e offendere sul piano fisico, culturale e politico, il candidato premier del Movimento 5 Stelle. Una campagna pianificata attraverso i social e grazie a quelle emittenti televisive che ancora scandalosamente lo ospitano nelle loro trasmissioni, evidentemente convinti che i suoi insulti urlati a squarcia gola continuino a fare aumentare l’audience. Poveri illusi, sono fermi ancora al Maurizio Costanzo Show degli anni ottanta, trasmissione grazie a cui, il critico d’arte e polemista poté contare su un’inaspettata quanto immeritata notorietà. (Successe anche all’imbonitrice Vanna Marchi a cui la sorte, però, riservò ben altro destino, condannata a nove anni di carcere per truffa aggravata e associazione a delinquere). Erano tempi in cui nelle TV bastava gridare per ottenere successo. Gli insulti di Sgarbi -allora molto meno offensivi- e il suo primo “stronza!” pronunciato nel “salotto” più famoso d’Italia, fecero scalpore e lo consacrarono come il personaggio più provocatore dell’epoca. Ma l’ego esibizionista di Sgarbi era ancora agli albori, intrappolato dalla censura televisiva e dal vigente reato per diffamazione che riusciva a contenere la sua naturale vocazione al vilipendio. Inoltre, allora non esistevano i social network, che a differenza delle TV dove è ancora possibile porre rimedio alla scalpitante maleducazione di certi individui, non vi è freno e controllo di nessun tipo.
È proprio nei social che personaggi come Sgarbi si trovano a loro agio, potendo fare di tutto e di più senza controllo alcuno: un regno che sembra essere stato creato apposta per persone come lui e dove il più grande insultatore del secolo sguazza felicemente con la stessa naturalezza di un feto nelle acque dell’utero materno. Così, oltre agli insulti moderati (si fa per dire) pronunciati nelle varie trasmissioni televisive che lo ospitano, Sgarbi porta avanti la sua campagna denigratoria nei confronti di Luigi Di Maio con tutta una serie di video postati su Facebook, creati ad hoc per offendere e ingiuriare continuamente quello che lui ritiene il suo nemico politico (badate bene, nemico e non avversario). Sgarbi da bravo comunicatore usa tutto ciò che la tecnologia e gli amici gli mettono a disposizione, quindi, social, radio, televisione, adottando per ogni mezzo usato tecniche e stili diversi; il massimo lo raggiunge sul piccolo schermo dove evidentemente si trova più a suo agio: è lì che è nato come showman, che la sua indole narcisistica raggiunge l’apice, una vera forza della natura. Durante le sue sfuriate televisive si trasforma, ringhia come un cane a cui stanno per togliere l’osso non ancora spolpato, il viso gli diventa paonazzo come il lambrusco e dalla bocca gli si allungano filamenti di bava inumana; poi, proprio nel momento in cui i telespettatori temono un infarto in diretta, lo vedi improvvisamente calmo, riacquistare serenità, colorito, come se qualcuno alle sue spalle nascostamente gli avesse iniettato una mega dose di sedativo. Allora sorride beato come un bimbo che ha appena finito la sua poppata, paco del suo sfogo, della sua esibizione; si sfrega le mani, si sistema la giacca, il colletto della camicia, assume un contegno rispettoso; sa di aver fatto una birichinata, ma lui è Sgarbi, lo sanno tutti che è fatto così, si compiace di se stesso.
Durante una puntata di “Non è l’Arena”, la trasmissione televisiva condotta su La7 da Massimo Giletti, Sgarbi accusa Di Maio di essere un politico disonesto e incapace, di non meritare lo stipendio di 16.000 euro che percepisce in qualità di vicepresidente della Camera: “Il vero politico disonesto è il politico incapace, nessuno di voi contesta gli stipendi di Marchionne e di Montezemolo. Quando uno ha qualità deve essere pagato” dice, alludendo ovviamente a se stesso e al modo di pensare della casta a cui appartiene. Poi incalza offendendo sempre di più di Maio, gli dà del balordo, del piccolino, del coglione, gli dice che non vale un cazzo, che deve andare a studiare, offende il M5S e i suoi elettori. Gli epiteti però non vanno oltre trovandosi in televisione e frenato in qualche modo dal conduttore. Ed ecco quindi che le offese peggiori Sgarbi se le riserva per Facebook, utilizzando una serie di video postati giornalmente dove finalmente le sterili elucubrazioni della sua mente annebbiata trovano sfogo e si realizzano. Qui l’estro creativo del critico d’arte raggiunge il massimo delle sue capacità espressive. Paragona Di Maio all’attrice Ambra Angiolini, chiamandolo Ambra Di Maio (riferendosi ad un programma televisivo Rai degli anni ’80 in cui Ambra, allora appena quattordicenne, eseguiva pedissequamente gli ordini del regista Gianni Boncompagni), un paragone tanto assurdo quanto inutile; gli dà dello iettatore pensando di sfruttare la credulità popolare, proprio come faceva Vanna Marchi durante le televendite, promettendo disgrazie e catastrofi a chi si rifiutava di acquistare le sue alghe miracolose. Un’aggressione vile, resa ancora più grave dal fatto che l’infamia provenga da chi, colto, cerca di sfruttare l’ignoranza altrui per portare avanti il suo piano “criminoso”. Gli italiani abbiamo abbastanza memoria per ricordare come personaggi noti del mondo dello spettacolo siano stati letteralmente rovinati da attacchi di questi tipo. Nei suoi sproloqui per offendere Di Maio usa degli epiteti impronunciabili, lo definisce “uno stronzetto malcagato, una scorreggia di Grillo, una scorreggia fritta”; dà del “pezzo di merda” a chi lo sostiene votandolo; lo imita negli atteggiamenti, nel linguaggio, assumendo la posa di una femminuccia puritana, impettita e insicura, non rendendosi conto di quanto ridicolo possa apparire agli occhi degli altri. In uno dei suoi video inscena un vero e proprio spot pubblicitario dove si fa vedere seduto nel water con in mano un telefonino con l’immagine di Di Maio, nel mentre ripete lo slogan: “Partecipa, scegli e caga. Per cagare, non usate Guttalax, usate Di Maio, il lassativo che non vi abbandona, il lassativo che vi aiuta. Volete cagare bene, usate Di Maio”. Una volgarità dove il maestro dell’insulto supera se stesso.
Sgarbi è tutto e il contrario di tutto, accusa gli altri di reati che non hanno commesso e che invece ha commesso lui, nega di fronte all’evidenza, offende e vilipende senza motivo per il solo gusto di farlo, per mettersi in mostra, per espellere dalle sue viscere il veleno di cui è impregnato tutto il suo essere e che sputa dalla bocca come un cobra in fase di attacco. Lui è l’uomo che nel 1989, nel corso di una puntata del “Costanzo Show”, augurò la morte al suo maestro Federico Zeri che lo aveva definito “narcisista, presuntuoso, impreparato e superficiale”. Un’infamia che da sola avrebbe dovuto essere sufficiente per farlo sparire da tutte le TV d’Italia e che invece, a seguito dello scalpore che fece la notizia, gli spalancò nuove porte. Un teatrino a cui purtroppo assistiamo ancora oggi. Sono decine e decine, forse centinaia, le persone del mondo della cultura, dello spettacolo, dell’arte, della politica, che da lui sono state offese e diffamate; non ha risparmiato nessuno finanche il presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, definendolo nel 2000 “una scorreggia fritta”; eufemismo a lui caro visto che spesso lo ripropone per definire quelli che reputa suoi nemici. Recente anche l’offesa fatta a Cecilia Strada, figlia di Gino, replicando un suo post su Facebook (“non scopate con i fascisti. Non fateli riprodurre”) con la frase: “Stia tranquilla, nessun fascista vorrà fare sesso con lei” e aggiungendo “faticherà a trovare anche comunisti”. La frase, ovviamente, si commenta da sola.
Sgarbi è un individuo che non ha rispetto di nessuno, nemmeno dei suoi figli, se così non fosse non avrebbe potuto dichiarare di essere solo un “genitore biologico” per spiegare le sue tre paternità mai cercate. In più occasioni ha sostenuto pubblicamente di non aver mai voluto diventare padre e di esserlo diventato solo per scelta delle donne con le quali ha vissuto delle storie; e forte di questa convinzione ha più volte ribadito: “I figli sono delle madri”, ammettendo quindi di esserlo solo per costrizione, legale ovviamente. Durante un processo teso a dimostrare l’ennesima paternità non voluta, Sgarbi ha dichiarato di avere “almeno una quarantina di figli non riconosciuti”, una frase pronunciata con vanto a dimostrazione della sua virilità e delle sue qualità da dongiovanni, non rendendosi conto evidentemente della bassezza morale della sua affermazione.
In politica Sgarbi è come le farfalle, una volta posatesi sul fiore e succhiatone il nettare, va alla ricerca di un altro fiore. Una metafora per spiegare il suo continuo cambio di poltrone. Nella sua lunga attività politica ha cambiato schieramento una decina di volte, passando da un partito all’altro e paracadutandosi da una parte d’Italia all’altra appena avvistata una poltrona libera. Così nel 1996 si candida a sindaco di Ferrara, nel 2006 a sindaco di Milano, nel 2012 a sindaco di Cefalù, sempre senza successo, fino a quando finalmente nel 2008 riesce a farsi eleggere sindaco di Salemi, ma costretto a dimettersi prima della fine del mandato perché accusato di uso improprio di auto blu e per aver affidato incarichi e consulenze giudicate irregolari (reato quest’ultimo per il quale viene condannato dalla Corte dei Conti, al pagamento di 89.655 euro a favore del comune di Salemi). E poi ancora nel 2012 va ad occupare la poltrona di assessore a Bandissero d’Alba, nel 2014 a Urbino, nel 2016 a Cosenza e finalmente nel 2017 dopo un vomitevole servilismo nei confronti di Berlusconi e degli altri esponenti del centrodestra, arriva il salto di qualità, assessore ai Beni Culturali della Regione Sicilia. I siciliani abbiamo ancora le orecchie piene di tutte le cose dette e ripetute riguardo a ciò che avrebbe fatto per la nostra regione e, senti senti, a meno di tre mesi dall’incarico è già pronto ad abbandonare la sua poltrona in vista di un’altra più comoda, così si candida nel collegio uninominale di Acerra-Pomigliano d’Arco per la Camera dei deputati. Ed ecco spiegato finalmente il motivo di tanto astio, anzi di tanto odio, nei confronti di Di Maio: lo considera un nemico e nella sua lucida follia non potendo combatterlo in altro modo usa i miseri e volgari espedienti che tutti conosciamo. La schiacciante vittoria ottenuta da Di Maio (64% di voti contro il 20%) è la lezione che gli elettori hanno voluto infliggere a Sgarbi per ripagarlo di una battaglia politica fatta all’insegna del turpiloquio e della scorrettezza.
Sgarbi non fa altro che accusare Di Maio di percepire impropriamente il suo stipendio di vicepresidente della Camera, dimenticando di dire che metà dello stipendio che incassa va (insieme a quello degli altri parlamentari del M5S) al fondo per il Microcredito; e soprattutto dimenticando di dire che Di Maio è sempre presente in parlamento a rappresentare il suo ruolo e a difendere i diritti dei cittadini italiani, a differenza sua che durante le legislature in cui è stato parlamentare è sempre stato un assenteista cronico. Durante la XIII legislatura, infatti, Vittorio Sgarbi ha votato soltanto 111 volte su 2687, risultando il deputato meno presente a Montecitorio con una percentuale di assenze pari al 95,87%, record superato da se stesso nella legislatura successiva con una percentuale pari al 98,16% di assenze, ma in compenso, in quest’ultimo quinquennio risulta essere ai primi posti nella classifica degli ospiti nella trasmissione televisiva “Porta a Porta” condotta da Bruno Vespa, con ventiquattro apparizioni. C’è da dire, però, che in fatto di assenteismo Sgarbi non era certo uno sprovveduto avendo fatto un buon tirocinio nel periodo 1989-1990 quando, in qualità di dipendente del Ministero dei Beni Culturali ricopriva la qualifica di funzionario ai Beni Artistici e Culturali del Veneto. Per le sue reiterate assenze ingiustificate dal posto di lavoro, Sgarbi nel 1996, con sentenza della Pretura di Venezia è stato condannato a sei mesi e dieci giorni di reclusione per il reato di falso e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato, per assenteismo e produzione di documenti falsi. Peccato che tale principio non venga applicato per le assenze in parlamento (trattandosi di fatto dello stesso reato). Se così fosse personaggi come Sgarbi avrebbero vita corta come politici. La “qualità” della sua attività politica tuttavia non le ha impedito di incassare un vitalizio di 9000 euro al mese, per i quali lo stesso dichiara di essere felice e di incassarli meritandoseli tutti, forse riconoscendosi il merito di essere stato sempre assente e quindi di non aver turbato le attività parlamentari con le sue sempre più farneticanti discussioni. E sempre sui vitalizi Sgarbi dichiara ai microfoni de “La Zanzara” (Radio 24) che è meglio dare il vitalizio a uno come lui piuttosto che lo stipendio ai grillini che non valgono nulla e che per la loro incapacità dovrebbero fare i parlamentari gratis, convinto, ovviamente, che gli italiani abbiano la memoria corta e si siano dimenticati del suo primato in termini di assenze a Montecitorio.
Ma in quanto a moralità politica e principi di correttezza Sgarbi non manca di stupirci, infatti nonostante si sia fatto quattro legislature in parlamento, sedendosi (si fa per dire) per vent’anni in un luogo dove le leggi si fanno e si discute il modo per farle rispettare, lui le leggi continua a trasgredirle in barba alle sentenze dei giudici e di chi da lui dovrebbe essere risarcito. E a proposito di risarcimenti non pagati ecco quanto dichiarato da Di Pietro, l’ex fondatore di “Italia dei Valori”, ai microfoni di Radio Cusano Campus, l’emittente dell’Università degli Studi Niccolò Cusano: “Sgarbi che parla tanto deve rispettare la legge, le sentenze e la giustizia. Io con Sgarbi ho una decina di cause di cui otto già in sentenza. È stato condannato sette, otto volte per diffamazione. E lui non paga, semplicemente perché apparentemente nullatenente. Mi deve qualche centinaia di migliaia di euro…”.
Certamente quello che Sgarbi deve a Di Pietro è tanto, ma è davvero poca cosa se confrontato alle centinaia di migliaia di euro che è stato condannato a risarcire a tutte le persone da lui offese e calunniate. Numerosi sono infatti i procedimenti giudiziari, le condanne penali e civili (soprattutto per diffamazione, diffamazione aggravata, ingiuria e resistenza a pubblico ufficiale) che Sgarbi ha subito in quest’ultimo decennio. In un Paese normale un individuo così sarebbe stato messo in condizione di non nuocere più a nessuno, da noi invece, viene mandato in Parlamento e se gli inciuci messi in atto tra lui e il centrodestra andranno in porto presto ce lo ritroveremo anche come ministro.