Chi erano i famosi “lambs” del fin troppo lodato film con Jodie Foster? Secondo il giornalista Gigi Moncalvo in Italia il titolo fu cambiato e “agnelli” divenne “innocenti”, per non urtare la sensibilità della nota family. Sarà così? Moncalvo ne sembra certo, anche perché i suoi libri sulla dinasty torinese/ globale, a suo dire, non sono stati distribuiti a dovere, hanno subito un boicottaggio per riverenza verso la venerabile stirpe.

Non ripercorreremo la storia del casato, ben conosciuta e per la quale sono corse cascate, non fiumi, di parole. Secondo i più maliziosi tutto iniziò con l’Unità d’Italia, ghiotta occasione per il capostipite dell’immensa fortuna, visto che l’unificazione portava targa Savoia, quindi si giocava in casa.

Per le generazioni oggi alla soglia della terza età, le uniche attualmente in grado di portare una testimonianza sul vorticoso capovolgimento degli equilibri terreni, gente nata quando le campagne erano ancora Medio Evo e oggi catapultata nella vita robotica, i signori Fiat erano tutt’uno con la percezione dell’esistenza: ci davano le auto, portavano i benefit come da manuale Cencelli, si compravano quello che ancora non era loro, trastullavano i tifosi con la vecchia signora bianconera, un vero santino, tifata dal padano, il terrone e il marocchino ( e da lì a pervadere la Nazionale, il passo fu breve).

Chi era l’uomo più giusto, fascinoso, potente e glam del mondo? Ma l’avvocato, ovviamente, blandito dalle star dell’orbe terraqueo, amico dei padroni del mondo, come quell’Henry Kissinger ancora sulla cresta dell’onda, di questi tempi, a 97 anni. E molto hanno vissuto anche i sodali del cerchio magico di Gianni, dal suo legale col nome fighissimo, Franzo Grande Stevens (classe 1928), a Gianluigi Gabetti ( scomparso nel 2019, a 95 anni), a Cesare Romiti (nato nel 1923,  deceduto quest’anno), alla vedova Marella ( scomparsa l’anno scorso, a 92 anni).

Un po’ meno bene è andata al padre di Gianni, Edoardo (1892/1935) che si mosse malamente da passeggero su un idrovolante, lasciando la superba vedova Virginia, poco amata dai parenti per i suoi costumi (per questo tentarono di levarle i figli), alle prese con i sette bambini e col suo amante fashion Curzio Malaparte. Anche lei non camperà molto a lungo, schiantandosi mentre scorrazzava in auto, nel 1945.

Dei suoi figlioli, quelli “vestiti alla marinara” per intenderci, si ricorda sempre poco Giorgio, morto trentacinquenne nel 1965,  in una clinica svizzera, dove era ricoverato per fragilità psichiche – anche se si sono rincorse tesi feroci sul ruolo dei fratelli, che lo avrebbero mobbizzato perché non all’altezza e anche qualcosa di peggio.

A questo punto della storia, con il clan già molto americanizzato per via di matrimoni vari, più qualche coniuge sempre nobile e ben fornito di una decina di cognomi, comunque minimo due ( la moglie di Umberto, non aristocratica, si portò almeno un Bechi Piaggio in dote), dopo che il patron Vittorio Valletta lasciò lo scettro al Gianni, quarantenne fino ad allora dedito a baldorie, non restava che assistere alla marcia trionfale dei giovincelli nati tra gli anni cinquanta e i sessanta e alla corsa stellare del marchio. E qui iniziano i dolori.

La falcidie inizia nel 1998. Giovannino, nato nel 1964, figlio di Umberto, era bellino, riccioluto, erre moscia, ma struttura linguistica ben ancorata all'italiano, quando lo intervistavano qui, nella prima teorica patria ( in genere, sono alquanto apolidi, con stampo ginevrino). L’anno prima il giovanotto, lanciatissimo in carriera, era convolato a nozze con la solita bella statunitense, cerimonia blindata, con qualche foto concessa alle riviste. I due stilosissimi sposini erano andati in honeymoon in Asia, tornandone già futuri genitori, ma dopo pochi mesi lui dichiarò al mondo di essere gravemente malato. Nonostante le cure al famoso Sloan Kettering Center di New York ( dove sono approdati altri famosi pazienti, tutti regolarmente deceduti nonostante le parcelle), in pochi mesi il - nel frattempo - padre ( di Asia, appunto) e manager di ottime speranze, ci lasciò.

Nel 2000 si schianta al suolo saltando da un viadotto Edoardo, 46 anni, figlio di Gianni. Della vicenda ci occupiamo nel libro “Complottista io?” (Carmen Gueye, Eidon edizioni). Nessuno si scompose più che tanto al dichiarato suicidio: il signore veniva considerato da tutti un riccaccione debosciato con pretese intellettualoidi, che non ne combinava una giusta.

Il timone passò in mano a Sergio Marchionne, che sembrava un nuovo Valletta, però innovatore e grintoso quanto bastava per guidare il brand nel nuovo millennio, con le multiformi attività in cui una moderna azienda deve farsi valere, senza vegetare in un brodo passato: e infatti le auto Fiat sono finite nel baratro, visto che c’era ben altro a cui votarsi.

Ora la FIAT non esiste più e si chiama FCA; anche perché il vispo Sergio, sparito dalla ribalta quasi da un giorno all’altro, morì in Svizzera nel 2018, lasciando campo libero al primogenito dell’unica figlia di Gianni, Margherita, che lo ha avuto dalle prime nozze: quel John Elkann, oggi 44 anni, sposo di Lavina Borromeo, padre di Oceano Noah, Vita Talita e Leone Mosé, che quando parla ( perfettamente) l’italiano sembra un androide, ha perso l’aria di casa e l’accento addirittura piemontese dei suoi predecessori.

Ricordate? Quando John, ragazzino, entrò in ditta, zio Edoardo non aveva gradito, ma pazienza, quello non contava nulla. Dopo la morte di nonno Gianni, nel 2003, mamma Marghe avrebbe forse voluto dire la sua, ma fu esautorata e nemmeno invitata al matrimonio del figlio, non solo: ne seguì una faida con donna Marella, conclusasi forse con la morte di quest’ultima e forse no. Noi dobbiamo accontentarci delle bizze di Lapo, che almeno in questo periodo sembra affiatatissimo col fratello maggiore: la factory produce mascherine che entrambi ci consigliano.